Trent’anni di storia italiana meravigliosamente tratteggiati dalla mano di un grande regista. Questa è, in sintesi, l’essenza di C’eravamo tanto amati, diretto da Ettore Scola su sceneggiatura firmata dallo stesso e da Age e Scarpelli.
Il film inizia con le immagini in bianco e nero della guerra di Resistenza: Antonio, Gianni e Nicola sono compagni di lotta e amici fraterni fra loro. Ma finita la guerra “scoppiò il dopoguerra” e per i tre si prospettano strade diverse: Antonio (Nino Manfredi) lavora in ospedale dove cerca di portare avanti le sue idee nelle rivendicazioni sindacali, rivendicazioni che si scontrano però con un muro di indifferenza, la mediocrità di una vita quotidiana che ha come obiettivo lo sbarcare il lunario non lascia spazio ai grandi ideali per cui Antonio ed i suoi amici avevano combattuto.
Nicola (Stefano Satta Flores) è professore in un liceo della profonda e arretrata provincia meridionale, le sue idee progressiste e suoi aneliti intellettuali vengono sommersi dal grigiore di una società perbenista e bigotta. La proiezione, nel cineforum da lui creato, del grande capolavoro del neorealismo Ladri di biciclette, considerato immorale dalla ipocrita élite locale, gli costerà il posto di insegnante e lo obbligherà a cercare fortuna a Roma.
Infine Gianni (Vittorio Gassman) avvocato praticante che si fa irretire dalla lusinga del benessere diventando il legale di fiducia, e poi il genero, di uno squallido palazzinaro (Aldo Fabrizi).
Appare piuttosto evidente come attraverso le vicende dei tre protagonisti Scola descriva la società civile del dopoguerra, una società nata dallo sforzo comune sostenuto contro la dittatura fascista e l’invasore straniero ma che vede traditi quegli ideali che avevano portato alla ribellione contro l’oppressione e alla nascita della Repubblica, traditi per di più proprio da coloro che di quelle idee si erano fatti sostenitori a rischio della vita.
Antonio, Nicola e Gianni vengono in qualche misura travolti dalle necessità quotidiane della vita reale con le quali devono scendere a patti (Antonio) oppure con cui vanno allo scontro uscendone malamente sconfitti (Nicola). E alla fine quello che riesce a ottenere maggior successo è proprio colui che non solo abbandona ma addirittura calpesta i valori di giustizia e di moralità sociale che ne avevano animato la gioventù.
In mezzo ai tre si insinua la figura di Luciana (Stefania Sandrelli), fidanzata con Antonio che abbandona per il ben più fascinoso Gianni dal quale viene però “scaricata” quando questi ha l’occasione di fidanzarsi con la figlia del disonesto imprenditore per cui lavora.
Luciana, che avrà anche una relazione fugace con Nicola, rappresenta il collante delle vicende dei tre personaggi principali ma anche il punto di sintesi per le riflessioni che derivano da questa storia: in una struggente scena finale Gianni dopo aver ritrovato casualmente Antonio e Nicola, rivede Luciana (che nel frattempo si è sposata con lo stesso Antonio), e proprio l’incontro casuale porta l’ormai ricco, cinico e borghese avvocato a fare i conti con i suoi rimpianti e a prendere atto con estrema amarezza che la sua vita di successo è stata in realtà una vita di amara solitudine e di dorata infelicità.
C’eravamo tanto amati, al di là dei numerosi premi ricevuti, è un capolavoro della cinematografia italiana, e non solo. E’ anche un’opera intrisa di grande amore proprio per il nostro cinema, come testimoniano le partecipazioni di Vittorio de Sica, di Federico Fellini e di Marcello Mastroianni nei panni di loro stessi.
Ettore Scola con questo film ha probabilmente raggiunto il vertice di una carriera peraltro di assoluta eccellenza, supportato da un gruppo di attori straordinario. Da vedere non solo per il gusto di ammirare una grande opera del nostro cinema ma anche per ripercorrere (e comprendere) un tratto di storia italiana.
a cura del Cineforum “Quei Bravi Ragazzi” (Gianni Novelli)
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