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LA FARFALLINA CHE SI NUTRE DI BOSSO

Allora, ci sono queste liste. Capiamoci, roba seria, scientifica. Però fanno un pochino senso. Sono le liste delle specie invasive, animali e vegetali, e censiscono gli organismi alieni che si trovano per un motivo o per l’altro in habitat differenti dal loro, creando squilibri, danni, rotture di scatole. Alieni non vuol dire che hanno una […]

Allora, ci sono queste liste. Capiamoci, roba seria, scientifica. Però fanno un pochino senso. Sono le liste delle specie invasive, animali e vegetali, e censiscono gli organismi alieni che si trovano per un motivo o per l’altro in habitat differenti dal loro, creando squilibri, danni, rotture di scatole. Alieni non vuol dire che hanno una spirotromba che vi risucchia il cervello e lo risputa sottoforma di poltiglia verde: diciamo alloctoni, se preferite, che fa pensare meno a Sigourney Weaver.

STEFANO ROLLI

Queste liste di proscrizione, questi registri dei cattivi, hanno una caratteristica comune: raccolgono una quantità di specie introdotte dall’uomo – ‘sto furbone – in luoghi dove non se ne era mai vista l’ombra, dove magari non hanno antagonisti naturali, elementi di contenimento. E se magnano tutto. Oppure anche specie autoctone con le quali il sapiens ha cazzeggiato, tipo le capre rinselvatichite che sono come dei tosaerba atomici. Oppure il gatto. Sì, il gatto domestico (Felis catus): anche se gli riempite la pancia con i manicaretti di lusso visti alla tivù, lui non sa di essere un gatto domestico, o se lo sa se ne strafotte, e preda la fauna locale alla grandissima e se gli capita a tiro un gatto selvatico (Felis silvestris) magari ci fa anche le cosacce, ibridizzando la specie protetta e scatenando un gran casino. Lo dico a malincuore, perché nutro una quindicina di gatti e quindi per passerotti, arvicole e altre bestiole sono una specie di nazista.
Ho guardato un paio di queste liste. Una è la “100 of the World’s Worst Invasive Alien Species” (100 cattivoni ingombranti che non stanno dove dovrebbero, traduzione creativa) della International Union for the Conservation of Nature, una Ong svizzera accreditata all’Onu. L’altra è l’elenco delle specie esotiche invasive previsto dal regolamento europeo numero 1.143 del 2014. Ebbene, può darsi che le mie fonti non siano affidabili, oppure che mi sia sfuggito qualcosa, ma così non ci siamo, cari signori. Ci sono delle lacune. A prima vista da questi elenchi mancano almeno DUE specie altro che invasive: insopportabili!
Partiamo dalla prima. Nel teporino di una notte dell’agosto 2016 me ne tornavo a casa quando vidi svolazzare nella luce dei fari una farfallina bianca. Poi due farfalline, poi dieci, cento. Attorno ai lampioni lungo la provinciale si libravano migliaia di farfalline bianche. Che carucce. Circondato da quel candido svolazzare mi inerpico sull’ermo colle ove sorge la mia casa. Arrivo e la casa non c’è più. O meglio, c’è, ma la facciata è completamente ricoperta da una coltre di lepidotteri biancastri dalla quale si staccano sciami che vanno a farsi un giro di giostra attorno al punto luce affisso al muro. Come seppi poi, trattavasi di esemplari di Cydalima perspectalis, per gli amici “piralide del bosso”. Una farfalla arrivata in Europa dall’Estremo Oriente e le cui larve si nutrono esclusivamente di foglie di bosso, provocando la defoliazione dell’arbusto e la sua morte.
Chi nel 1929 aveva costruito la nostra casa ci aveva piantato accanto un bosso, a quei tempi si facevano cose così. In tanti anni questa pianta così lenta era diventata alta più di tre metri. Quando le larve sono nate, se la sono mangiata. Contravvenendo ai miei principi avevo provato di tutto: trappole al feromone, Bacillus thuringensis, invocazioni a Cernunnos, napalm… ma invano. E non era ancora niente.
C’è una piccola montagna in Val Graveglia che si chiama Bossea. Indovinate perché? Perché era ricoperta da una vasta e rarissima macchia spontanea di bossi, un sito di eccezionale interesse naturalistico perché il bosso di solito ve lo trovate nei vivai, non dietro la prima curva del sentiero: è una pianta che nel Terziario era molto più diffusa di adesso e che qui è sopravvissuta grazie alle condizioni climatiche favorevoli. Quell’anno la piralide si è mangiata tutta la Bossea e tutti i bossi sui versanti circostanti, distruggendo un immenso patrimonio ambientale, anche se nessuno si è stracciato le vesti, visto che il bosso noi non lo mangiamo e – siccome non si poteva sradicarlo per venderlo – non dà profitto. Da allora il monte è tutto giallo di arbusti diseccati, una cosa da mettersi a piangere e un bell’innesco per gli incendi. Le maledette farfalline aliene però non si vedono più, sparite dalla circolazione. Come mai? Me lo aveva spiegato all’epoca Paolo Cresta, direttore del Parco dell’Aveto: «Quando si assiste ad un’esplosione demografica del predatore così intensa, è possibile riscontrare, in concomitanza con la decimazione della specie predata, una conseguente estinzione dell’aggressore». Capito? Vuol dire che quando la piralide si fosse mangiata tutti i bossi sino all’ultima fogliolina, non avrebbe più avuto di che nutrirsi gli anni successivi e zac: morta, stecchita, sterminata, foera di ball.
Ma dico io, ve lo immaginate un animale così imbecille, così poco lungimirante, così mal congegnato da erodere ogni risorsa e distruggere l’ambiente che lo sostiene sino a provocare l’autoestinzione?
Ma veniamo ora all’altra specie che non viene menzionata nelle liste degli organismi invasivi. L’uomo.

Stefano Rolli, autore e grafico, ha donato a Quilianonline uno degli scritti già pubblicati su Il Secolo XIX. (Il Secolo XIX del 29 giugno 2019)

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