Nell’anno in cui la pandemia ha ucciso soprattutto gli anziani, Oliviero Pluviano, 69 anni , giornalista genovese trapiantato in Sudamerica da anni, rende omaggio ai nonni pubblicando un libro con le preziose testimonianze di 50 italobrasiliani , avanti con gli anni, in alcuni casi deceduti da pochissimo, le cui storie raccontano, con la forza dei ricordi diretti o delle memorie tramandate di generazione in generazione, avventure e disavventure degli emigranti che tra le due guerre mondiali, soprattutto dopo la Seconda, andarono in Brasile a cercare fortuna.
DANIELA ALTIMANI
Erano giovani uomini e donne che poi hanno messo radici nello stato e nella città di San Paolo e, grazie al loro “saper fare bene”, hanno dato un grande contributo alla terra che li ha accolti. Non si trattava solo di poveri contadini analfabeti e affamati, quali erano quasi tutti gli emigranti italiani di fine ’800 provenienti dalle aree depresse del Nord e del Sud Italia, tra loro si contavano tecnici, artigiani, ingegneri, artisti, oggi li definiremmo emigranti qualificati, spesso poveri di mezzi a causa della guerra appena finita ma ricchi di quella speciale qualità italiana che Renzo Piano definisce “capacità innata di scoprire i lati meno evidenti delle cose” .
Il libro di Pluviano, 360 pagine, edito a San Paolo del Brasile, è accompagnato da 570 foto , selezionate e riprodotte dall’autore. Il volume è complementare (ne costituisce il catalogo) alla mostra omonima allestita al Museo dell’Immigrazione di San Paolo. Doveva essere inaugurata il 21 marzo, è scattato il lockdown che ne ha impedito una piena fruizione e sarà trasferita a Ribeirao Preto . Ci sono gia contatti con il Museo delle migrazioni della Commenda di Prè a Genova, dove avrebbe una collocazione “naturale”. Sia la mostra sia il libro sono pubblicati in portoghese ma Pluviano ha scritto i testi originali in italiano tradotti da Elena Salvi .
Mostra e libro fanno parte di un progetto più ampio, iniziato nel 2013 e denominato “100 nonni” . Quando la pandemia finirà, Pluviano insieme al videomaker brasiliano, Carlos Gomes, terminerà di registrare le testimonianze di cento italobrasiliani sparsi nell’intero territorio brasiliano, un progetto sostenuto fin dall’inizio dalla Fiat sudamericana e dalla Bauducco, azienda leader nella produzione mondiale di panettoni , fondata a San Paolo dall’immigrato piemontese Luigi Bauducco .
Il volume racconta storie di successo ma anche di rapidi declini e di normale, quotidiana fatica, per conquistare una vita dignitosa. “ Gli italiani – chiarisce Pluviano – , compresi quelli di seconda, terza, e successive generazioni, residenti nell’area metropolitana di San Paolo sono circa 6 milioni, 14 milioni in tutto lo Stato. Diciamo che ho scelto personalità rappresentative ma non necessariamente sempre vincenti. Ad alcuni di loro o ai loro discendenti negli ultimi anni non è andata benissimo, un po’ come succede in Italia e nel resto del mondo”. Le trasformazioni dell’economia globale e le turbolenze politiche del Brasile hanno causato il tramonto di alcune storiche imprese, create dal nulla e avviate da italiani arrivati dopo la Seconda guerra mondiale. Altre si sono consolidate e ampliate enormemente come quella di Luigi Bauducco, morto da pochi mesi e al quale il libro è dedicato. In Brasile il cognome Bauducco da tempo è sinonimo di industria dolciaria, 70 milioni di panettoni prodotti e venduti ogni anno.
La vita di Marino Romanello, di Campoformido, vicino a Udine, meriterebbe da sola un libro, tante sono le avventure che ha affrontato. Sopravvissuto alla campagna di Russia ( dopo la terribile ritirata dal Don), è stato partigiano, e poi nel ’49 , quando aveva già moglie e figlia ma non più il lavoro di tecnico delle linee telefoniche ferroviarie istriane, si è imbarcato per il Brasile per raggiungere uno zio commerciante di caffè e costruttore di chiese. Nella sua incredibile vita, che si è conclusa nel 2019, Romanello è stato imprenditore di condensatori per radio, di radar, di bisturi elettronici, ha commerciato con tutto il mondo , ha partecipato alla progettazione della prima tv del Brasile . Di sé diceva “io sono cresciuto insieme all’industria brasiliana”. Non si è mai arricchito , un socio giapponese – raccontava – gli aveva portato via tutti i brevetti . Ma non se ne rammaricava più di tanto. .. “Dei soldi non mi è mai importato ”.
Romanello era innamorato del proprio lavoro. Come lo è ancora Mino Carta , considerato tra i più grandi giornalisti brasiliani. “E’ il fondatore di Quatro Rodas, Jornal da Tarde, Veja, Jornal da Republica, IstoÉ e Carta Capital – elenca Pluviano – ha scritto la storia recente di tutta la carta stampata in Brasile. È anche un affermato artista, dipinge, scrive libri , ha sempre praticato un serio giornalismo investigativo, sfidando la dittatura militare e i governi che le sono succeduti”. Mino Carta è nato a Genova nel 1933, figlio di Giannino che fu redattore capo del Secolo XIX. Da bambino ha studiato dalle suore Marcelline in Albaro, quando aveva 12 anni la sua famiglia si è trasferita in Brasile.
Maria Bonomi proviene da una facoltosa famiglia lombarda. E’ nata nel 1935 a Meina sul lago Maggiore in una villa di 56 stanze che nel ’43 diventò il quartiere generale degli occupanti nazisti. Fu a causa di quell’”esproprio” che i Bonomi, prima di approdare in Brasile, scapparono in Svizzera. “Cominciò da lì – scrive Pluviano – una fantastica carriera di disegnatrice, grafica, incisora , che l’ha portata a collaborare con Lazar Segall, Iolanda Mohalyi, Livio Abramo, alla Columbia University e in Italia con Emilio Vedova e Enrico Prampolini alla Biennale di Venezia. In Brasile ha realizzato capolavori di arte pubblica. La sua prima personale a New York, nel 1959, fu vista da un entusiasta Salvador Dalí…”.
Se Maria Bonomi ha una fama che supera i confini del Brasile, Natalina Berto, una veneta brusca e tenace, è famosa soprattutto nelle favelas dove ha combattuto e lavorato duramente per migliorare le condizioni di vita dei più poveri.
Quando il Covid lo permetterà , Pluviano completerà la sua ricerca sui 100 nonni italobrasiliani con un’idea ancora più ambiziosa: andare in Amazzonia a raccogliere le testimonianze degli indios anziani prima che il virus e la deforestazione cancellino per sempre il loro patrimonio di cultura e sapienza.
C’è un battello che lo aspetta, il Gaia, la vecchia barca fluviale riadattata con la quale il giornalista genovese in questo terribile periodo è riuscito, grazie alla solidarietà di amici italiani e brasiliani, e alla partnership con il Progetto Saùde e Alegria, a far arrivare tonnellate di aiuti alimentari ai villaggi amazzonici, abbandonati dallo Stato brasiliano.
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