MARGHERITA, IL DONO DEI PRATI
Una specie che abita prati, ma anche incolti, bordi di strade, boschi e rive di corsi d’acqua. Dotata di innumerevoli proprietà officinali quali antispasmodiche, antinfiammatorie e depurative, può anche essere consumata in cucina nelle insalate e per preparare il nostro “prebuggiùn”. Rappresentava un simbolo di virtù, fedeltà e amore: la pratica profetica del “m’ama, non m’ama” pare risalga a origini celtiche.
LAURA BRATTEL
NOMI COMUNI: Margherita, margherita comune, margherita diploide.
NOME SCIENTIFICO: Leucanthemum vulgare.
NOME DIALETTALE QUILIANESE: margherìtta, margaitùn.
FAMIGLIA: Asteraceae o Compositae
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea perenne la cui altezza varia dai 20 ai 40 cm, ma può raggiungere anche un metro di altezza. Ha foglie perfettamente lisce, di un verde molto scuro ed intenso, riunite in una rosetta basale. Altre foglie possono trovarsi lungo lo stelo. La loro forma varia da obovata a spatolata, a margine variamente inciso, con piccoli lobi irregolari più o meno distanziati. Il fusto è verde con scanalature, semplice o più raramente ramificato. L’infiorescenza è formata da capolini di diversa forma e colore: i fiori centrali, ermafroditi, sono di colore giallo intenso, mentre quelli periferici sono soltanto femminili e formati da ligule bianche. Erroneamente i fiori periferici vengono scambiati per petali. Il frutto è una minuscola capsula, lunga uno o due millimetri, di forma ovale oblunga.
HABITAT
La margherita comune è presente in tutta Europa e Asia, fino al Giappone, nella fascia temperata. Si tratta tuttavia di specie maggiormente diffusa presso le coste mediterranee, per quanto si dirada scendendo verso sud. Ama abitare i prati, ma anche gli incolti e le zone ruderali, i bordi di strade e sentieri, i boschi radi e le rive di fiumi e torrenti.
PROPRIETÀ OFFICINALI
Nella composizione chimica della margherita rientrano olio essenziale, tannini, gomme, resine. Costituisce specie officinale dalle riconosciute proprietà antispasmodiche, valide in caso di coliche intestinali e dolori mestruali. In tal senso agisce da leggero sedativo, attenuando gli spasmi muscolari e rilassando il sistema nervoso. Si rivela anche utile per regolare il flusso mestruale. I fiori, in particolare, hanno altresì la proprietà di sedare le tossi catarrali e di origine asmatica. Per uso interno si può quindi preparare un infuso di margherita con 4 grammi di fiori secchi (un cucchiaio raso) in 200 ml di acqua bollente (una tazza). Si lasciano tre minuti in infusione, quindi si filtra. Questa tisana avrà anche un blando effetto rilassante che contrasterà l’insonnia. Alcuni terapeuti ne consigliano un utilizzo in primavera, quale disintossicante e depurativo, grazie alla sua azione diuretica. Per uso esterno i fiori hanno proprietà antinfiammatorie ed astringenti. Gioveranno quindi in caso di abrasioni, piccole scottature e ferite e soprattutto per infiammazioni gengivali o del cavo orale e per piccole ulcere della bocca. Allo scopo si potrà preparare la stessa tisana suggerita sopra, raddoppiando la dose di fiori secchi impiegati. Si faranno sciacqui e gargarismi in bocca, ed impacchi sulla cute lesa. Cataplasmi possono essere risolutivi anche in caso di eruzioni, arrossamenti e foruncoli, previo parere medico favorevole. L’oleolito pare abbia le stesse virtù rassodanti e tonificanti di quello a base di pratolina (Bellis perennis), per cui tende a rassodare la pelle.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
Raffigurazioni della margherita compaiono già in epoca egizia, su vasi di ceramica databili a 4000 anni fa. Si trattava probabilmente di contenitori destinati a contenere i fiori secchi oppure fiori freschi recisi. In Egitto c’era un culto profondo rivolto verso il mondo floreale, sia per estrarne essenze e profumi, in parte utilizzati per le imbalsamazioni, ma anche per le proprietà terapeutiche. Testi dell’antico Egitto elencano più di 700 specie note quali officinali. Molto importanti erano i fiori come elemento decorativo: se ne facevano mazzi per adornare le tavole, e ai vasi venivano spesso appese ghirlande di quegli stessi fiori. Troviamo quindi margherite, ma anche fiordalisi, papaveri, anemoni e l’immancabile fior di loto. Le ghirlande erano sovente usate come ornamento femminile e per festeggiare i guerrieri vincitori, di rientro dalle grandi battaglie. La margherita era stata probabilmente importata da altri Paesi vicini, per essere coltivata nei grandi giardini reali insieme ad altri fiori, sebbene in epoca egizia tarda queste usanze venissero considerate frivole ed inutili, e diverse specie fossero state abbandonate a favore di altre ritenute molto più vantaggiose dal punto di vista terapeutico ed economico.
La margherita era ovviamente nota anche ai Romani. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, ne fa menzione quale rimedio per curare forme asmatiche, suggerendone un macerato in aceto. Troviamo una citazione di questo fiore nella Divina Commedia di Dante: “Per entro sé l’etterna margherita /ne ricevette, com’ acqua recepe /raggio di luce permanendo unita”. Paradiso, II, 34-36. Sulla definizione del suo nome scientifico non ci fu sempre accordo. La specie che Plinio chiama “Leucanthemum”, infatti, secondo alcuni studiosi sarebbe stata la camomilla. Linneo perciò preferì farla rientrare tra i crisantemi, utilizzando questo altro vocabolo quale appellativo specifico (Chrysanthemum leucanthemum). Il successo del termine scientifico quale noi lo conosciamo, invece, fu dovuto a due botanici francesi vissuti nei secoli a cavallo di quello in cui visse Linneo. La voce “Leucanthemum” deriva dal greco λευκός (leucós), bianco e da ἄνϑοϛ (ánthos), fiore, per via dei fiori ligulati bianchi che formano la corona. Il primo ad utilizzare tale terminologia fu il botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1656 – 1708). Destinato inizialmente a diventare prete, Tournefort si dedicò allo studio della botanica in seguito alla morte del padre, quando fu libero di scegliere la sua strada. Famosi sono i suoi erbari, ancora oggi conservati presso il Museo Nazionale di Storia Naturale a Parigi. A Parigi resse la cattedra di botanica dal 1683 fino alla sua morte, avvenuta all’età di soli 52 anni a causa di un banale incidente di strada. Ricordiamo tra le sue opere: “Éléments de botanique” (Elementi di botanica), del 1694, il “De optima methodo instituenda in re herbaria” (Del metodo migliore per realizzare erbari) del 1697 e la “Histoire des plantes qui naissent aux environs de Paris” (Storia delle piante che nascono nei dintorni di Parigi), del 1698. Tournefort classificò le piante seguendo la forma delle loro corolle e soprattutto iniziò a fare una chiara distinzione tra genere e specie, preparando così il terreno a Linneo stesso. Per quanto riguarda la denominazione da affidare alla margherita, il botanico francese Jean-Baptiste de Lamarck (1744 – 1829) preferì quella del collega Tournefort, ritenuta più precisa ed attualmente accettata da tutto il mondo scientifico. Nel linguaggio dei fiori la margherita ha diversi significati, tutti collegati al concetto di “verità”. Il bianco dei suoi petali ricorda la semplicità e la purezza, l’innocenza e la modestia; anche per questo motivo veniva usata dalle ragazze per ornarsene le chiome.
Il dono di una margherita simboleggiava un elogio della virtù, ma anche una promessa di amore fedele. Una ragazza richiesta in sposa poteva accettare il dono quale gesto di onore e prova d’affetto. Tuttavia questo fiore aveva in taluni casi valenza di consegna di un segreto da custodire gelosamente. Un mazzo di margherite regalato ad una neomamma, infine, era di buon auspicio per l’accoglienza del neonato. Il termine inglese “daisy” con cui si nomina la margherita sta per “day’s eye”, cioè “l’occhio del giorno“, per la particolare conformazione della sua infiorescenza con il cuore di colore giallo dorato e la corona bianca, che ricordano un piccolo sole. Da qui deriva l’usanza di utilizzare l’infuso di fiori per lenire problemi degli occhi. Dai popoli celtici pare abbia origine la pratica profetica di interrogare la margherita riguardo l’amore dell’amato, con il classico “m’ama, non m’ama”, recitato strappando ad uno ad uno i fiori bianchi della corona. Secondo la tradizione celtica la margherita sarebbe stata fiore sacro per Ostara, la festa di primavera in onore della dea Eostre, patrona della fertilità.
La margherita ebbe pure larga diffusione nelle rappresentazioni artistiche, soprattutto nei dipinti sacri, dove veniva posta in correlazione con la figura della Madonna, per il concetto di purezza e incorruttibilità che reca in sé.
UTILIZZI IN CUCINA
La rosetta di foglie basali della margherita si può aggiungere alle altre erbe selvatiche che compongono il “prebuggiùn”, ma può ugualmente essere consumata cruda in insalata. Si consiglia di non esagerare con il consumo delle foglie, perché risultano piuttosto amare e fibrose. Anche i fiori sono edibili, e possono essere mangiati integralmente oppure solo i fiori ligulati bianchi della corona, più dolci rispetto a quelli centrali, i quali sono, al contrario, decisamente più amari.
LA RICETTA
Macedonia “m’ama, non m’ama”
Ingredienti:
Fragole o fragoline di bosco, margherite, zucchero, succo di limone.
Procedimento:
Se volete preparare un dessert invitante nei colori e nelle forme e stupire i vostri ospiti, proporrei di provare a sfogliare la vostra margherita su una bella macedonia di fragole: il bianco dei petali spiccherà sul rosso delle fragole, rendendo il dolce invitante e stuzzicante. Ricordate di utilizzare soltanto i fiori esterni bianchi, quelli che chiamiamo comunemente “petali”, ossia la parte dolce dell’infiorescenza.
Se poi deciderete di preparare questo dessert per l’amato bene, sarà sicuramente il massimo: vi ama o non vi ama? Ve lo rivelerà la margherita!
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