OMBELICO DI VENERE, LA BELLEZZA NEL PIATTO
Succulenta di muri e ripe, evoca nella fantasiosa forma della foglia la bellezza del corpo femminile, tanto che il suo nome richiama la bellissima dea Venere. Se ne possono guarnire le insalate, ma ci piace anche aggiungerlo al “prebuggiùn”.
LAURA BRATTEL
NOMI COMUNI: Ombelico di Venere, erba dei calli, scodelline, cappellini e altri nomi locali.
NOME SCIENTIFICO: Umbilicus rupestris
NOME DIALETTALE QUILIANESE: cucùlli
FAMIGLIA: Crassulaceae
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea succulenta, perfettamente glabra e con fusto eretto non ramificato, che può raggiungere un’altezza di 25 cm. La radice è un rizoma tuberoso, le foglie sono intere, carnose, sostenute da un lungo picciolo. La forma delle foglie presenta la caratteristica lamina orbicolare, cioè dalla forma circolare, concava al centro. Lungo il fusto possiamo trovare anche foglie spatolate o lanceolate. Il margine fogliare è liscio o leggermente crenato. L’infiorescenza è un racemo che occupa la gran parte del fusto. I piccoli fiori penduli e di colore bianco-verdognolo o paglierino, talvolta sfumati di rosa, hanno forma tubolare o campanulata. Il frutto è una capsula che contiene numerosi minuscoli semi ovoidali o ellittici di colore bruno scuro.
HABITAT
Vegeta di preferenza su suoli silicei, umidi, ombrosi e freschi. Possiamo trovarne estese colonie nelle fessure dei muri e delle rocce, dal livello del mare fino a 1200 m di altitudine. La specie riesce a difendersi molto bene dai rigori invernali così come dall’estrema siccità estiva, grazie alla sua radice rizomatosa e tuberosa, che le permette di avere risorse nutritive a disposizione, anche quando l’intera porzione aerea dovesse gelare o seccare.
PROPRIETÀ OFFICINALI
L’ombelico di Venere è specie ricca di sali minerali quali calcio, potassio, silicio e ferro. Contiene anche tannini e composti organici azotati. Apprezzata in passato per le sue proprietà diuretiche e rinfrescanti, questa succulenta si presta molto bene per fare impacchi esterni utilizzando la poltiglia della foglia fresca o il succo in caso di ferite, piaghe, ulcerazioni e calli. La cura dei calli, per cui queste caratteristiche foglie si erano rivelate un buon rimedio, ha dato alla pianta uno dei nomi popolari. Secondo alcuni autori l’ombelico di Venere non avrebbe nulla da invidiare all’Aloe vera in quanto ad azione lenitiva, emolliente e rinfrescante sulla pelle. In cosmetica la specie viene usata per la preparazione di creme detergenti ed emollienti, in grado di igienizzare e togliere le impurità dell’epidermide, come foruncoli, acne e punti neri. Alcuni ne consigliano una maschera per il viso da lasciare in applicazione per brevissimo tempo. Tuttavia, non essendoci studi scientifici moderni a confermare la validità di questi preparati casalinghi, si consiglia di rivolgersi prima al proprio medico, per chiedere il parere di un professionista riguardo ciascuna particolare situazione personale.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
L’ombelico di Venere reca in sé l’idea della bellezza femminile divina. In effetti è davvero piacevole osservare la forma delle piccole foglie perfettamente lisce di questa pianticella, tondeggianti, concave e strutturate come un cratere. L’attribuzione di parti del corpo femminile alla nomenclatura delle piante, in associazione al nome di una divinità, è fatto piuttosto diffuso. Si pensi al capelvenere, o all’erba Venere dei Romani, la verbena, tanto per fare pochi esempi. Di queste denominazioni speciali si occupa l’etnobotanica, scienza al confine tra antropologia culturale e botanica, che studia l’uso e la percezione delle specie vegetali all’interno della società umana, e che ci dimostra quanto sia tenace il legame che unisce noi esseri umani al Regno Vegetale. L’ombelico di Venere fu classificato con criteri scientifici moderni da botanici inglesi quali Richard Anthony Salisbury e James Edgar Dandy. Salisbury, vissuto tra il Settecento e l’Ottocento, fu un botanico meticoloso ed attento, e nel 1809 venne nominato primo segretario ad honorem della Royal Horticultural Society. Non fu altrettanto apprezzato dal punto di vista umano, dal momento che era difficile andare d’accordo con lui e molti botanici della sua epoca preferivano evitarlo, inoltre alcune questioni finanziarie poco chiare che lo videro coinvolto fecero dubitare della sua onestà. Dandy, il cui nome viene accostato normalmente alla denominazione scientifica dell’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris (Salisb.) Dandy), fu un botanico inglese vissuto nel secolo scorso. Diresse il Dipartimento di Botanica del Museo Britannico di Storia Naturale ed ebbe al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche, in particolare sulla classificazione delle Magnoliaceae. In realtà prima di loro un altro botanico inglese si era occupato di questa pianta, che chiamava “kidneywort”, nome che creava però confusione con una specie di anemone. Si tratta di Nicholas Culpeper, eccentrico studioso seicentesco di erboristeria e farmaceutica. In realtà, però, egli risulta poco attendibile in quanto usò l’astrologia piuttosto che la scienza per classificare le specie vegetali. Secondo questo studioso l’ombelico di Venere avrebbe avuto proprietà disinfiammanti, rinfrescanti e diuretiche, sarebbe stato utile per guarire i brufoli, il fuoco di Sant’Antonio e altre infezioni della pelle, oltre a curare la gotta, la sciatica, i geloni. Nell’ottica di Culpeper probabilmente le credenze popolari si mescolano alla scienza, per cui non è fonte affidabile. Interessante è infine accennare al nome dialettale ligure di quest’erba, “cucùlli”, che riporta alla mente le nostre tradizionali frittelle, i semplici eppure grandiosi “frisceu”. Si chiamavano “cucùlli”, in epoca antica, particolari cappucci di stoffa pesante, uniti o sovrapposti alle vesti, usati nel mondo romano e medievale da contadini e viaggiatori per ripararsi dalle intemperie. Successivamente questi cappucci vennero adottati nelle vesti dei monaci. I “cucùlli” quale pianta e i “cucùlli” quale “frisceu” riportano dunque ad un capo di abbigliamento antico , di cui entrambi gli oggetti summenzionati ricordano la forma. Non a caso uno dei nomi popolari italiani della specie è proprio “cappellini”.
UTILIZZI IN CUCINA
Le foglie dell’ombelico di Venere si raccolgono in primavera, prima della fioritura, oppure in autunno, e si consumano per lo più crude in insalate, cui conferiscono un sapore fresco e leggermente acidulo e rivelano una consistenza piacevolmente croccante e carnosa. Possiamo aggiungerne una certa quantità al nostro “prebuggiùn”, per quanto la resa sarà minima una volta lessate. Ricordiamo di non esagerare con le quantità, dal momento che la pianta contiene anche ossalati, sostanze responsabili della formazione di calcoli in chi ne soffre.
LA RICETTA
Insalatina leggera
Ingredienti:
Erbe selvatiche commestibili dolci, come caccialepre, grespino, costolina, pimpinella, radicchiella, insieme ad un pugno di foglioline tonde di ombelico di Venere, olio extra vergine di oliva, sale, succo di limone o aceto a piacere.
Procedimento:
Raccogliere con cura le foglioline che serviranno per la nostra insalatina, ad una ad una, scegliendo le più belle e le più tenere. Raccogliere anche una manciata di foglioline tonde di ombelico di Venere. Lavare tutto con delicatezza e porre in una ciotola. Condire con sale, olio extra vergine di oliva e a piacere succo di limone o aceto, a seconda dei gusti personali. Se si usa aceto, preferire quello biologico, prodotto da vitigni nostrani per acetificazione del vino buono.
I saluti
Con la scheda odierna si conclude anche questa serie di specie del nostro tradizionale “prebuggiùn”. La raccolta delle erbe selvatiche commestibili però non si ferma, e sarà possibile andare avanti a fare scorta finché le condizioni meteorologiche lo permetteranno. Ricordiamoci sempre di usare la massima prudenza e di raccogliere solo ed esclusivamente le specie di cui siamo assolutamente certi. Da parte mia vi esorto a porre sempre più attenzione a questo straordinario mondo che è il Regno Vegetale, le cui creature arrivarono sulla terraferma molto prima di noi, e crearono le condizioni di vita necessarie affinché anche noi potessimo raggiungerle. Esprimiamo loro gratitudine e rispetto.
E dal Prato di Laura giungano a tutti i lettori i più cari saluti.
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