In territorio di Cadibona, ma alle porte di Savona, un patrimonio di storia sconosciuto e dimenticato: la miniera di lignite.
SABRINA ROSSI
Scoperta casualmente nel 1786, ad opera di un cacciatore che mostrò un pezzo di lignite nel quale era inciampato ad un ufficiale svizzero al servizio della repubblica di Genova laminiera di Cadibona attirò fin dal principio l’attenzione del regime napoleonico che vedeva nell’estrazione del carbon fossile la chiave di volta dei progetti di sviluppo industriale concepiti dallo statista Chabrol.
Si trattava di una miniera vera e propria, con due gallerie maestre, una di avanzamento, l’altra di traverso, armate con tavole di legno al soffitto ed ai fianchi.
Oggi si possono ancora vedere i resti degli edifici percorrendo una strada sterrata che conduce dall’ingresso nord dell’abitato all’insediamento.
IL SOGNO DI CHABROL
La posizione della miniera risultava infatti vantaggiosa sotto diversi aspetti: la vicinanza al mare ed al porto di Savona, e l’ubicazione nei pressi di un importante valico, il Colle di Cadibona appunto, che poteva agevolare le comunicazioni e le relazioni commerciali tra il litorale e la Val Bormida (e quindi la Francia). Il disegno di Chabrol rientrava tuttavia in un contesto molto più ampio, ovvero quello del progetto di un canale di comunicazione e trasporto, “il Canale della Bormida”.
A lungo, sotto la guida dei marchesi Doria, poi dei Pallavicini, il giacimento raggiunse fra il 1857 ed il 1864 il periodo di massima attività: alcune fonti riportano una produzione di ben 25000 tonnellate (due terzi delle quali destinate al mercato nazionale, mentre il resto inviato fino ad Alessandria d’Egitto) per una forza lavoro di circa 300 operai.
Verso la fine del XIX secolo, con l’arrivo dai mercati esteri di carboni di miglior qualità ed a prezzi più competitivi, il giacimento venne nuovamente abbandonato.
Soltanto nei primi decenni del Novecento e fino al secondo dopoguerra si ripresero gli scavi e la miniera costituì nuovamente il centro dell’economia cadibonese, offrendo lavoro a gran parte degli abitanti del paese.
LAVORO DURISSIMO CON LE DONNE IN PRIMA LINEA
Il lavoro in miniera si svolgeva a coppie, composte da un operaio qualificato per la mansione svolta e da un manovale.
La maggior parte degli addetti lavorava su tre turni dal lunedì al sabato, ad eccezione di una squadra addetta agli impianti di pompaggio e di un capoturno, in miniera anche la domenica.
Vi erano inoltre lavoratori giornalieri – tra questi, molte erano le donne – che si occupavano della classificazione e della scelta del carbone, del carico dei camion sul piazzale.
Le condizioni lavorative peggiori erano riservate agli “esonerati”, ovvero coloro che avevano ottenuto l’esonero nei primi mesi del ‘42, che per molto tempo non usufruirono dei riposi settimanali, concessi solo in seguito, grazie ad un intervento dell’Ispettorato del Lavoro.
Il pericolo in miniera era sempre in agguato: accadde spesso che moti franosi bloccassero operai all’interno delle gallerie, per fortuna senza conseguenze per la loro incolumità, a parte una grande paura e alcune ore di lavoro per rimediare ai danni.
In quel periodo vi furono purtroppo due incidenti mortali: un lavoratore fu colpito da un asse di legno mentre lavorava sul fondo del pozzo Gomba, mentre un altro venne raggiunto da una scarica elettrica provocata da un fulmine che aveva colpito l’impianto dell’aria compressa e attraverso questo aveva raggiunto l’operaio all’interno della miniera. Per tutti e due il trasporto all’ospedale di Savona era stato inutile.
Nei primi mesi del 1946 la ricerca e con essa l’attività della miniera veniva interrotta. Si interruppero per primi i lavori a Cian du Pin. La miniera si avviava così ad una rapida chiusura e, sebbene molti in quel periodo avessero trovato una diversa occupazione, numerose erano ancora le famiglie che contavano su quello stipendio fino ad allora garantito.
DALLA COOPERATIVA ALLA CHIUSURA
Nel 1952 la miniera venne definitivamente abbandonata, dopo due anni di gestione operaia sotto forma di cooperativa ma con scarsi risultati, in quanto ormai le numerose difficoltà nello smercio della lignite ne rendevano antieconomico lo sfruttamento.
Come si può vedere da quanto descritto finora, la miniera di Cadibona rivestì per tutto l’Ottocento e parte del Novecento un ruolo fondamentale nella storia dell’attività estrattiva ligure e nazionale, oltre che una valenza economica assai rilevante per la comunità cadibonese stessa. La lignite di Cadibona ebbe da sempre una grande importanza tecnologica, ma anche un indubbio valore scientifico: va infatti ricordato che proprio nella miniera è stato rinvenuto il notevole reperto fossile dell’“Antracotherium Magnum”, facente parte della collezione paleontologica del Museo Civico di Savona.
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