Dicono che Alcide sia come una quercia che ha cresciuto sette rami: sette figli, sette fratelli e sette nomi, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Sette contadini emiliani di età diverse, diventati nel 1943 la Banda Cervi per opporsi alla dittatura fascista che da tempo li stava perseguitando.
Sette coscienze impegnate nella lotta per la libertà e contro le ingiustizie sociali respirate in famiglia non solo grazie al padre militante nel Partito Popolare e al nonno Agostino imprigionato per aver capeggiato la rivolta dei contadini contro il macinato del 1869, ma anche dall’impegno politico del terzogenito Aldo che li aveva spinti per primi definitivamente allo scontro con la dittatura.
Una lotta che li aveva portati ad offrire la pastasciutta a tutto il paese per festeggiare la caduta del fascismo (tradizione che ancora oggi resiste in ricordo in Emilia) e ad aprire la loro casa a compagni di lotta, ribelli, partigiani feriti, prigionieri di guerra stranieri.
Sette rami che cadono all’alba del 28 dicembre 1943 nell’area del poligono di tiro di Reggio Emilia, al termine di una dolorosa prigionia e privati della possibilità di salutare per l’ultima volta il papà, compagno di cella.
Ma la quercia Alcide non è morta, ha resistito al dolore, alla perdita della sua casa distrutta per mano fascista e poi ricostruita con le nuore alla strazio della moglie stroncata da un infarto a poche settimane dalla fucilazione. Il seme dei sette fratelli Cervi, ideale di libertà e sacrificio, come Alcide ripeteva, è “piantato nella testa dell’uomo“.
Fratelli Cervi (Campegine, Reggio Emilia, 1901/1921 – Reggio Emilia, 1943)
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