IL GUSTO FORTE DEL BOCCIONE MAGGIORE
Conferisce a ogni suo intervento un sapore particolare, fondamentale in cucina e anche in farmacia. Piace alle mamme, ma i neonati storcono il naso: fa bene, ma il gusto è amaro. Meglio il latte nature…
LAURA BRATTEL
NOMI COMUNI: Boccione maggiore, lattugaccio di Daléchamp, lattaiolo, amarago, cicoria amara, grugno, muso di maiale, barba di capra.
NOME SCIENTIFICO: Urospermum dalechampii
NOME DIALETTALE QUILIANESE: amaùn, bellommu.
FAMIGLIA: Asteraceae
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea perenne con rosetta di foglie basali dal colore verde opaco e dalla forma piuttosto irregolare: possiamo trovare foglie lanceolate o foglie roncinate, cioè profondamente incise in modo disomogeneo; talora questa incisione può giungere fino alla nervatura centrale.
La caratteristica della pianta del boccione maggiore è la sua tomentosità (si presenta quasi vellutato per via dei numerosi peli che ne costellano foglie, fusto e calice floreale) e l’aspetto ispido.
Lo stelo floreale può essere alto fino a 20-40 cm e porta un solo grande capolino sulla sommità. Il fiore è in realtà un’infiorescenza, e quelli che noi chiamiamo “petali” sono i veri fiori: tutti ligulati, cioè nastriformi, ad apice tronco formato da cinque dentelli, hanno colore giallo pallido fino a paglierino, talora presentano striature rossastre sulla parte più esterna.
A maturazione, si forma il caratteristico soffione simile a quello del tarassaco. I frutti sono lunghi acheni terminanti con pappo notevolmente piumoso.
HABITAT
Il boccione maggiore predilige i luoghi aridi ed incolti, i bordi delle strade, le ripe sassose, preferibilmente con esposizione in pieno sole.
È specie a diffusione mediterranea. Può giungere fino ad un’altitudine di 1200 m slm, ma non lo troviamo sull’arco alpino.
PROPRIETÀ OFFICINALI
Il boccione maggiore, con le sue componenti amare che gli conferiscono il caratteristico sapore, rientra nelle specie ad effetto epatoprotettivo. Contiene importanti vitamine e sali minerali, nonché mucillagini ed un gruppo di sostanze chimiche interessanti, alcune delle quali hanno spiccate proprietà antimicrobiche e lenitive.
Una tisana, preferibilmente sotto forma di decotto, preparata con le parti aeree di questa pianta è un ottimo digestivo e disintossicante per il fegato e le vie biliari.
Anche il semplice consumo alimentare esplica la sua azione su questi organi, oltre ad avere effetti blandamente lassativi.
Nella medicina popolare, secondo il principio della segnatura, in base al quale l’aspetto della pianta o di una parte di essa per analogia svela i suoi principi terapeutici, il boccione maggiore veniva considerato pianta galattogena. Infatti, a causa della forma del bocciolo che ricorda un capezzolo, il consumo di questa specie veniva consigliato alle puerpere per aumentare la produzione di latte. In realtà, essendo pianta ricca, come menzionato prima, di composti amarognoli, evidentemente conferirebbe al latte materno un gusto non del tutto gradito al neonato.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE:
Il nome di genere, Urospermum, significa letteralmente “seme con la coda”: dal greco “οὐρά” (ourá) coda, becco e “σπέρμα” (spérma), seme. La denominazione si riferisce alla forma del seme, per via del lungo prolungamento dell’achenio.
Il nome di specie, invece, è una dedica al medico, botanico, filologo e naturalista francese Jacques Daléchamps o D’Aléchamps (1513 Caen, Normandia – 1588, Lione). Daléchamps, erudito del suo tempo, lesse tutta la “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio e scrisse a tal proposito sue annotazioni. Fu autore dell’opera enciclopedica “Historia Generalis Plantarum”, sua fatica maggiore, pubblicata a Lione in due volumi, nel 1586. L’opera era stata scritta in latino, e venne tradotta in francese solo vari decenni più tardi.
Per concludere con le curiosità sul boccione maggiore, ricordiamo che esso fa parte della tribù delle Hypochaeridinae, cui appartiene anche la costolina, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Per “tribù” in botanica si intende un gruppo di piante affini per caratteristiche, in quanto aventi origine comune: una sorta di sottofamiglia. Il nome “Hypochaeris” era stato usato per primo dal filosofo e botanico greco Teofrasto (371 a.C. – 287 a.C.), e ripreso poi da Linneo. Indica un gruppo di piante di cui sono particolarmente ghiotti i maiali: dal greco “ὑπὸ” (hypó), sotto, e “χοῖρος” (choíros), maiale, porcellino. Non a caso il boccione maggiore è anche denominato “grugno” o “muso di maiale”.
UTILIZZI IN CUCINA
Tra tutte le verdure selvatiche che compongono il mazzetto del nostro “prebuggiùn”, il boccione maggiore è sicuramente la più amara, come si evince dal nome dialettale (“amaùn”, cioè “amarone”), e da alcuni nomi popolari attribuiti a questa pianta (amarago, cicoria amara). Il suo consumo in purezza, quindi, può non risultare gradito a tutti, per quanto estremamente salutare. Il consiglio è quindi di mescolarne una quantità relativamente modesta, a seconda dei gusti personali, ad altre essenze più dolci, come il caccialepre, la costolina, il grespino o il papavero.
Per lo stesso motivo non è verdura da consumare cruda. Si raccoglie la rosetta di foglie basali alla fine dell’inverno, quando la sua struttura è particolarmente carnosa e vigorosa, e la si fa lessare insieme alle altre erbe di campo per i più svariati usi: frittate, ripieno di pansotti e ravioli, torte salate, minestre e quant’altro. In questa sede vi propongo la ricetta della cima ripiena alla ligure, dove il boccione viene utilizzato nel ripieno quale parziale componente della ricca mescolanza di verdure selvatiche.
Ricordiamo inoltre che i boccioli dell’Urospermum dalechampii possono essere raccolti al termine della primavera, quando sono ancora ben chiusi, e conservati come si fa con i capperi, in salamoia o in agrodolce. Per chi fosse interessato, suggerisco di rifarsi alla stessa ricetta che ho dato a suo tempo per i boccioli del tarassaco, ma sottolineo ancora una volta che il prodotto ottenuto risulterà, in questo caso, notevolmente più amaro.
LA RICETTA:
Cima alla ligure
(Ricetta di zia Maria)
Se a mia nonna devo la conoscenza del mondo vegetale e dei segreti officinali delle erbe, a mia zia Maria devo la mia intera infanzia. Classe 1903, nota a tutti come “Maria du Gin”, zia era la sorella maggiore del nonno materno e viveva in casa con la mia famiglia. E’ lei, la mia prozia, che mi ha cresciuta, quando mia mamma doveva andare al lavoro, ed è stata per me una sorta di seconda nonna, severa ed affettuosa al tempo stesso, una vera massaia di casa, in grado di cucinare un numero favoloso di antichi e saporiti manicaretti, capace di rammendare qualsiasi cosa con qualunque mezzo. Zia Maria aveva un profumo di antico, e anche la lingua che parlava era diversa: un dialetto dove “stàncu”, “bagattu”, “brunzìn”, “luinò” (tabacchino, calzolaio, rubinetto, vaso da notte), avevano ancora un significato per lei comprensibile.
Questa è la sua ricetta della cima nostrana (“a sìmma”).
Ingredienti:
– Una tasca di carne
– “Prebuggiùn” già pronto (verdure spontanee lavate e lessate, tra cui anche un pochino di boccione)
– Parmigiano grattugiato
– 3 uova
– Una presa di sale
– Aromi: maggiorana, noce moscata, pepe, cannella
– Carota, sedano, cipolla, alloro.
Procedimento:
Procurarsi una tasca di carne dal macellaio.
Ora si possono trovare dei bei tagli già pronti e parzialmente cuciti sui lati. Tempo addietro le massaie come la mia prozia a volte tagliavano loro stesse la tasca, e la cucivano interamente loro.
Preparare il “prebuggiun” nel solito modo: lavare molto bene la verdura, lessarla per pochi minuti in acqua bollente, quindi tritarla finemente con la mezzaluna. La quantità di boccione da inserire nel nostro mazzetto di erbe di campo dipenderà dai gusti personali di ciascuno.
Aggiungere alla verdura tritata una generosa manciata di parmigiano grattugiato e due uova, oltre ad una presa di sale e agli aromi: maggiorana, noce moscata, pepe e cannella a piacere. Mescolare molto bene per amalgamare perfettamente tutti gli ingredienti.
Farcire con questo composto la tasca di carne, avendo cura di inserire un uovo intero al suo interno: l’uovo andrà rotto con delicatezza e lasciato scivolare dentro la tasca quando si sarà giunti a metà del riempimento. Una volta riempita completamente la tasca, richiuderla utilizzando filo bianco di cotone (il filo bianco grossolano che si usa per imbastire).
Porre sul fuoco una capace pentola con tre litri d’acqua e i sapori: una carota, una cipolla, una costa di sedano e alcune foglie di alloro. Quando l’acqua giunge a bollitura, immergervi la tasca di carne farcita, avvolta in un sacchetto o panno bianco di lino pulito, il cui utilizzo sarà limitato agli usi di cucina. Il sacchetto o panno di lino dovrà essere ben chiuso.
Lasciar sobbollire la carne per circa mezz’ora, per un’ora se si tratta di un taglio più grande.
A cottura ultimata, estrarre la tasca di carne farcita dall’acqua e metterla su un piatto con un peso sopra (ad esempio, un mortaio di marmo), affinché sgoccioli per bene. Deve raffreddarsi ed asciugare piano piano.
A questo punto si può affettare la nostra cima e servire.
L’acqua di cottura, invece, potrà essere usata come brodo leggero.
Buon appetito!
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