MALVA SELVATICA, ERBA TUTTOFARE
Attestati di stima e massima considerazione da sempre per la malva che dalla cucina alla farmacopea raccoglie ovunque entusiasmo. Poco usata nel prebuggiun va alla grande nelle tisane…
LAURA BRATTEL
NOMI COMUNI: Malva, malva selvatica
NOME SCIENTIFICO: Malva sylvestris
NOME DIALETTALE QUILIANESE: marva
FAMIGLIA: Malvaceae
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea perenne dai fusti robusti e molto ramificati, la malva può avere portamento strisciante o eretto. Gli steli possono raggiungere anche un metro e mezzo di lunghezza.
Le foglie della malva, di un verde piuttosto intenso, hanno una caratteristica forma palmato-lobata e sono portate su un lungo picciolo.
Sulla sommità degli steli, all’ascella delle foglie, germogliano i fiori, solitari o raggruppati fino a 6 elementi. I fiori presentano una corolla formata da cinque petali bilobati di colore rosa-violaceo, con striature più scure.
I semi sono acheni a forma di mezzaluna, scuri ed appiattiti, portati in una struttura circolare che ricorda vagamente una zucca in miniatura.
HABITAT
Quest’erbacea è comune in tutto il nostro territorio, dove cresce di preferenza negli incolti, nei campi, nei prati, nelle zone ruderali, ai bordi di strade e sentieri.
PROPRIETÀ OFFICINALI:
La malva è una delle piante officinali più versatili e straordinarie, ritenuta un tempo una sorta di panacea.
La si può usare in tutta tranquillità, in quanto non presenta effetti collaterali di alcun tipo.
Nella medicina popolare la malva veniva usata per curate quasi ogni tipo di disturbo e non v’è famiglia tradizionale che non abbia la sua personale ricetta sull’uso medicamentoso di questa specie.
Contiene vitamine, in particolare B1, B2 e C, carotene (precursore della vitamina A), sali minerali, principalmente potassio, mucillagini e antiossidanti quali flavonoidi ed antociani.
La quantità e il tipo di mucillagini contenute nella pianta la rendono particolarmente indicata per trattare con dolcezza gli stati infiammatorii, in quanto non solo agisce sull’infiammazione, ma esercita anche un’azione emolliente, poiché riveste organi e tessuti con uno strato protettivo.
Qui possiamo elencare solo alcuni dei suoi innumerevoli impieghi.
Efficace per gargarismi lenitivi per le delicate mucose della bocca e le gengive, nonché per calmare il mal di denti, è anche utile per alleviare pruriti o arrossamenti cutanei. Un impacco di malva può curare eritemi solari, ascessi, lacerazioni, emorroidi, infiammazioni vaginali, foruncoli, gonfiori, ematomi.
Per uso interno un infuso di malva ha proprietà espettoranti e antibatteriche, quindi esplica i suoi benefici effetti su tossi catarrose, bronchiti, condizioni asmatiche, mal di gola. Inoltre, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie, calmanti, emollienti e antispasmodiche, è ottimo alleato in caso di gastriti, dolori intestinali, cistiti.
A livello casalingo la malva può essere utilizzata per formulare olii o creme antirughe, ma anche per rinforzare il cuoio capelluto, avendo cura di effettuare l’ultimo risciacquo dei capelli con infusi a base di foglie e fiori di questa pianta.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
La denominazione “malva” rinvia al nome greco della specie, μάλᾰχη (malákhe), il quale deriva probabilmente dal termine μαλακός (malakòs), che significa “molle, morbido, delicato, dolce, mite, benigno, lieve”, in riferimento alle virtù emollienti di questa officinale (passerà poi al significato dispregiativo di “mollo, mollaccione, pigro, snervato, effeminato”).
Tali virtù erano già ben note fin dalla remota antichità, e Ippocrate, medico e filosofo greco vissuto a cavallo tra IV e III secolo a.C., la raccomandava per le sue proprietà emollienti e lassative.
Prima di lui Pitagora, famoso matematico e filosofo greco vissuto circa cent’anni prima, tra il V e il IV secolo a.C., già ne parlava come di pianta sacra: “semina la malva, ma non mangiarla; essa è un bene così grande da doversi riservare al nostro prossimo, piuttosto che farne uso con egoismo per il nostro vantaggio“. Secondo i seguaci della scuola pitagorica la malva era pianta divina e solare, emblema di saggezza e punto d’incontro tra mondo terreno e sfere celesti, per cui era meglio farne rispettosamente a meno.
Mia nonna, che pure non era una pitagorica, seguiva la regola secondo cui “è bene non mettere troppa malva nel “prebuggiùn”, perché quest’erba non deve essere sprecata”.
Dioscoride, medico e botanico greco vissuto a Roma nel I secolo d.C., la consigliava per i dolori addominali.
Anche i Latini furono grandi estimatori della malva: ne parlarono Marziale, Catone, Cicerone, Orazio, e naturalmente il nostro amico Plinio, secondo il quale essa era una vera e propria panacea. Secondo Plinio, tra l’altro, la malva avrebbe avuto pure un effetto afrodisiaco.
Durante il Medioevo la malva continuò ad avere grande successo: Carlo Magno la inserì quale pianta obbligatoria da coltivare nei conventi e nei borghi, secondo quanto viene citato nel “Capitulare de villis” (770-800 circa), inoltre a livello popolare essa veniva usata in filtri e pozioni ad effetto calmante. I monaci medievali, al contrario di Plinio, ritenevano che essa potesse favorire una condotta morigerata, ed esortavano ad impiegarla.
In epoca rinascimentale essa venne definita “omnimorba”, ovvero cura per tutti i mali, fama che la pianta, meritatamente, si porta appresso ancora oggi.
Oltre all’interesse del mondo scientifico fin qui delineato, la malva suscitò nel tempo credenze e leggende, superstizioni e riti esoterici.
I Celti la ritenevano in grado di scacciare gli spiriti maligni, per cui veniva posta sugli occhi dei defunti. Si pensava che sarebbe stata un buon viatico per aprire loro le porte del Paradiso.
I contadini medievali usavano sotterrare rami di malva davanti alle stalle per lo stesso motivo: avrebbero protetto il bestiame da incantesimi e malefici, ed avrebbero allontanato le presenze malvagie. Altresì, un pezzo di radice di malva essiccata avvolto in una pezzuola di colore scuro ed appeso al collo, era considerato un potente talismano: se portato addosso a contatto della pelle avrebbe protetto colui che ne fosse stato il portatore.
Gli antichi consideravano questa specie la pianta dell’energia femminile, per cui durante il Medioevo al fine di verificare la fertilità della promessa sposa si usava versare l’urina della ragazza su una pianta di malva: se trascorsi tre giorni la pianta restava verde e vitale, tutto procedeva nel modo giusto, al contrario se la pianta fosse seccata veniva stabilita la sterilità della povera fanciulla.
UTILIZZI IN CUCINA
Gilberto Scotti, nella sua opera “Flora Medica della Provincia di Como”, edita nel 1872, ci informa su come alcuni antichi Romani illustri apprezzassero o meno la malva in cucina. Il medico comasco scrive che i Romani ne facevano appetitosi manicaretti, tuttavia “la malva… anche sopra un letto di tartuffi è sempre malva”. Ne fece le spese Cicerone, che avendo probabilmente abbondato in libagioni ne saggiò le conseguenze lassative, e se ne lamentò in una lettera ad un amico. Per lo stesso motivo Marziale, che si faceva servire zuppe a base di malva, ne decantava gli effetti depurativi.
Il buon dottor Scotti, però, non era dell’avviso che essa fosse una specie così pregiata, e scrive: “Con buona pace di Esiodo e di Pitagora noi confessiamo di avere ben poco rispetto per la malva, e di tenerla per l’erba più scipita e più melensa di tutta la farmacologia botanica. Come verdura da tavola è appena degna dei Trappisti: in decotto od in cataplasma non è buona ad altro che a dar clisteri e macerar buganze: e quando si vuol battezare qualcuno da insignificante, da inetto, da buono a nulla lo si chiama proverbialmente unguento malvino.”
Pareri favorevoli o meno, noi Liguri utilizziamo questa pianta da sempre nella nostra miscellanea di verdure selvatiche commestibili, con cui prepariamo la farcia per ravioli, pansotti, carni ripiene, ma ne facciamo anche frittate o la saltiamo in padella con olio e aglio, per apprezzarne sia il sapore delicato che le virtù salutari.
Una ricetta particolarmente saporita e gustosa a base di malva è il risotto, fatto con foglie e fiori saltati in olio, prima dell’aggiunta di riso e brodo. I fiori, fritti in pastella, possono anche costituire una colorata ed originale merenda.
LA RICETTA
Oggi non vi racconterò una ricetta di cucina, ma vi darò due suggerimenti, che sono vecchie ricette officinali di famiglia a base di malva. Mia nonna, donna ligure saggia e pratica, aggiungeva ben poche foglie di malva al “prebuggiùn”, ma la raccoglieva e la faceva essiccare per farne infusi e preparazioni erboristiche necessarie al benessere di tutta la famiglia.
Mentre il mio pensiero e il mio ringraziamento va a lei e alla sua sensibilità nel sentire la Natura così vicina, faccio dono ai miei lettori di elisir che consiglio di tenere come preziosi alleati per la salute.
Tisana serale emolliente malva e camomilla
Ingredienti: malva, camomilla, acqua q.b.
Procedimento: Porre sul fuoco un pentolino con acqua quanto basta e portare a bollitura. Spegnere e lasciare che il bollore si stemperi. Versare l’acqua calda in tazza in cui siano stati messi un cucchiaino di fiori e foglie di malva e la stessa quantità di fiori di camomilla. Filtrare e zuccherare a piacere (possibilmente con miele).
Questa tisana ha effetto calmante, ma anche antinevralgico per dolori addominali, antinfiammatorio per l’apparato digerente e respiratorio, diuretico, espettorante, leggermente lassativo.
Se lo stesso infuso viene preparato senza l’aggiunta di zuccheri, lo si può fare intiepidire e può essere impiegato come lavaggio oculare in caso di congiuntiviti, se ne possono fare sciacqui per il mal di denti o per gengive infiammate e gargarismi per il mal di gola. Se ne possono anche fare impacchi per pelli arrossate o irritate.
Oleolito emolliente malva e calendula
Ingredienti: malva, calendula, olio d’oliva (semplice o extra vergine).
Procedimento: Porre un cucchiaio di fiori e foglie di malva essiccati insieme a un cucchiaio di fiori di calendula e ricoprire con uno strato di olio d’oliva. Lasciare macerare all’ombra per 40 giorni, quindi filtrare e conservare l’olio in vasetto di vetro, in apposito armadietto, avendo cura di apporre opportuna etichetta.
Questo oleolito potrà essere spalmato sulla pelle in caso di necessità.
Sul sederino dei neonati svolge azione disinfiammante e lenitiva, specie in caso di pelle molto irritata. Può essere usata come olio doposole, e può lenire prurito e bruciore dovuti a punture di insetti. E’ utile in caso di cute arrossata ed irritata. Ha buona efficacia come preparazione casalinga antirughe, in quanto dona splendore e rinvigorisce la pelle.
Attenzione: le preparazioni erboristiche sopra descritte non hanno controindicazioni, fatte salve eventuali intolleranze o allergie specifiche variabili da persona a persona. In caso di dubbio, consultare il proprio medico. L’efficacia è individuale, per cui anche in questo caso, di fronte a sintomi gravi o persistenti, si consiglia un consulto medico.
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