IL SAPORE DEL RADICCHIO SELVATICO
Importante per i ripieni, nel ‘700 venne considerato in grado di sfamare un intero popolo. A Quiliano preferiscono metterlo del prebuggiùn.
LAURA BRATTEL
COMUNI: radicchio selvatico, radicchio raggiato, cicoria da porci, indivia selvatica, lucertolina, ioseride, trinciatella.
NOME SCIENTIFICO: Hyoseris radiata
NOME DIALETTALE QUILIANESE: radìccia sarvèga, dènti de cunìggiu
FAMIGLIA: Asteraceae
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea perenne dotata di radice grossa e robusta, che presenta una folta rosetta di foglie basali.
Le foglie, normalmente radenti al suolo, tendono ad assumere un portamento a raggiera, da cui il nome di specie. Le lamine fogliari hanno un aspetto crespo: pennatosette e roncinate (ovvero profondamente ed irregolarmente incise, tanto da giungere quasi fino alla nervatura centrale), presentano fino a otto segmenti per lato, tendenti a sovrapporsi.
Il picciolo alla base di ciascuna foglia mostra talvolta sfumature di colore rosso vinaceo.
L’infiorescenza è un capolino solitario di colore giallo, composto unicamente da fiori ligulati. Sotto ai petali esterni possono esserci strisce di colore virante al rosso o al verde.
Il frutto è un achenio stretto e lungo dotato di pappo, cioè di ciuffo sommitale. Tuttavia questo ciuffo ha setole dure e rigide, piuttosto che peli soffici e morbidi, come quelli del tarassaco.
HABITAT
Questo radicchio è specie limitata all’area strettamente mediterranea (Area dell’Olivo). Cresce in campi incolti, nei muri, su sentieri sassosi. Ama i suoli ricchi di calcare.
PROPRIETÀ OFFICINALI
Alla pianta vengono attribuite proprietà diuretiche e rinfrescanti, dovute in particolar modo all’alto apporto di fibra alimentare.
La fibra è utile in un regime dietetico equilibrato per regolare le funzioni intestinali e ostacolare o rallentare l’assorbimento di lipidi (grassi). Inoltre tiene sotto controllo la glicemia e la colesterolemia, di conseguenza esercita un benefico influsso sul cuore. Alimenti ricchi di fibra come il nostro radicchio selvatico contrastano lo sviluppo di tumori al colon e mantengono la flora batterica intestinale in condizioni ottimali, realizzando anche un effetto prebiotico. Infine, la fibra aumenta il senso di sazietà, contribuendo a conservare un peso corporeo ideale.
Da sottolineare anche l’ottimo apporto di calcio e fosforo.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
Del radicchio selvatico parla già Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis historia” (I secolo d.C.): “Hyoseris intubo similis, sed minor et tactu asperior, vulneribus contusa praeclare medetur” (“La Hyoseris è simile all’indivia, ma più piccola e più ruvida al tatto, pestata cura benissimo le ferite”).
La denominazione scientifica di genere, Hyoseris, deriva dai termini greci ὗς (hys), porco e σέρις (séris) cicoria, indivia: riporta quindi alla dicitura popolare “cicoria da porci”.
Nelle nostre vallate liguri questa specie, in effetti, non era tanto utilizzata per l’alimentazione umana, poiché piuttosto fibrosa ed insapore, quanto piuttosto quale foraggio per animali domestici. Ricordo che mia nonna la raccoglieva e me la faceva raccogliere per foraggiare i conigli, ai quali veniva offerta come leccornia, e sono a conoscenza di anziani che la offrivano alle anatre e alle oche, dal momento che questi animali da cortile ne andavano particolarmente ghiotti.
Il nome di specie, “radiata”, è dovuto al fatto che le foglie della rosetta basale sono disposte a raggiera.
La pianta del radicchio selvatico fu inserita nell’elenco delle specie alimurgiche stilato dal botanico fiorentino Giovanni Targioni Tazzetti (1712 – 1783). Secondo lo studioso, che per primo coniò il termine “alimurgia” utilizzato tutt’oggi, tali verdure spontanee avrebbero potuto essere usate per sfamare il popolo nei casi di carestia o di guerre.
Questa sua opera portava il significativo titolo di “Alimurgia o sia Modo di rendere meno gravi le carestie, proposto per sollievo de’ poveri ed umilmente presentato all’Altezza Reale del Serenissimo Pietro Leopoldo” ed era stata pubblicata nel 1767. Si trattava di un lavoro che era stato presentato al Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, nell’ottica di quella filantropia illuminata che pervadeva tutto il Settecento.
UTILIZZI IN CUCINA
Insieme ad altre specie precedentemente descritte, anche il radicchio selvatico viene utilizzato in cucina quale ripieno di torte salate, pansotti, ravioli, tortelli, carni ripiene. Può anche essere saltato in padella con aglio e olio, frammisto ad altre essenze commestibili selvatiche, e in quanto tale entra a far parte del nostro “prebuggiùn”. Se ne possono anche fare minestre, frittate (prelibata quella a base di fiori di radicchio selvatico), o si possono usare le foglioline più tenere per il consumo a crudo in insalata.
Tuttavia il radicchio selvatico non vanta un ampio consumo nelle nostre vallate liguri, dove ad esso vengono preferite specie dai sapori più dolci o più intensi, e dalla consistenza meno fibrosa.
Come altre specie appartenenti alla famiglia delle Asteraceae, anche la radice del radicchio selvatico un tempo veniva tostata per ricavarne una bevanda simile al caffè.
LA RICETTA
“Cundiggiùn” alla ligure
(Ricetta di famiglia)
Ricordo certe sere d’estate a casa dei miei nonni, quando si tornava dalla vigna o da sfalciare le “rive”, le ripe erbose, e a casa gli ingredienti per preparare la cena erano poveri e semplici. Davanti alla casa, sotto al fresco pergolato di quella località che veniva chiamata “Nunespu” (località che durante i miei studi di toponomastica trovai citata sia nei catasti ottocenteschi che in un catasto del 1757), mia nonna tagliava grossolanamente le verdure e ne faceva ricadere i pezzi dentro ad un vecchio catino di ceramica.
Noi bambini un po’ giocavamo sul cortile, un po’ sbirciavamo i gesti sicuri ed indifferenti di nonna che preparava la cena, e che noi già pregustavamo, con tutte quelle verdure colorate provenienti dalle fasce coltivate dal nonno. E ci coglieva un certo languore, e l’acquolina saliva, mentre il nonno lanciava il suo richiamo alla nonna da quelle strisce di terra faticosamente strappate al ripido pendio di fronte a casa. Ed era tutto perfetto.
Ingredienti:
– Radicchio selvatico o altra insalata selvatica (nonna non amava molto questa specie, che reputava degna solo degli animali, per cui usava altre erbe spontanee come il caccialepre o il grespino, ma io consiglierei di usarla per le sue virtù salutari)
– lattuga o altra insalata coltivata
– pomodori
– peperoni
– cipolle
– fagiolini lessi
– una o due patate lesse
– olive in salamoia
– uova sode
– olio extra vergine di oliva taggiasca, aceto, sale
Procedimento:
Raccogliere e pulire le verdure, lavare bene, quindi tagliare a pezzi grossolani le insalate, sia selvatiche che coltivate, i pomodori, i peperoni (avendo cura di togliere semi e filamenti interni), le cipolle (per chi non gradisse il sapore aspro della cipolla, consiglio di tagliarla a julienne, cioè a fettine sottili, e porle per poco tempo in acqua leggermente acidulata con aceto o succo di limone, prima di aggiungerle al “condiggiùn”), i fagiolini lessi, le patate lesse preventivamente sbucciate. Sciacquare ed aggiungere all’insalata mista le olive in salamoia (noi utilizzavamo le olive taggiasche del nostro uliveto, che nonna provvedeva a conservare in vari modi); sgusciare le uova, tagliare a pezzi ed aggiungere al misto.
A questo punto condire con olio extra vergine di oliva taggiasca, aceto di vino (da noi sia l’olio che l’aceto erano quelli che produceva il nonno; l’aceto aveva un sapore particolarmente forte ed aspro, che stuzzicava piacevolmente il naso), sale.
Mescolare e gradire.
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