FARINELLO, LO SPINACIO DELLE MUMMIE
LAURA BRATTEL
Erba selvatica, ricca di carboidrati e ferro, le mummie ci raccontano che piacesse anche nella Preistoria. Oggi non ha molta fama, ma una carriera invidiabile e universale e poi sta molto bene nel prebuggiùn.
NOMI COMUNI: Farinello, farinaccio, chenopodio bianco, chenopodio comune, spinacio selvatico
NOME SCIENTIFICO: Chenopodium album
NOME DIALETTALE QUILIANESE: (?)
FAMIGLIA: Chenopodiaceae (attualmente inclusa nelle Amaranthaceae)
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Pianta erbacea annua, che può raggiungere, in certi casi, l’altezza di due metri.
Ha un robusto apparato radicale fittonante e fusto eretto molto ramificato.
Le foglie sono di forma estremamente irregolare, grosso modo romboidale, spesso dentate al margine, con lamina di aspetto farinoso inferiormente. Le cime fogliari sono ricoperte da una pruina bianca molto concentrata al centro simile alla farina, da cui il nome popolare.
L’infiorescenza è una spiga fogliosa, formata da fiori globosi e compatti di colore verdastro.
Il frutto è una capsula carnosa di colore verde contente un solo minuscolo seme, nero o bruno, tondeggiante e lucido. Ogni pianta può portare fino a 60.000 semi, i quali possono restare vitali nel terreno anche oltre 50 anni.
HABITAT
Il farinello è specie comunemente diffusa ovunque e considerata infestante in campi e coltivi. Ama in particolare i terreni assolati, ricchi di azoto e ben drenati. Si tratta di specie sinantropica, abituata cioè a convivere con l’Uomo in luoghi antropizzati, per cui possiamo rinvenirla in siti ruderali o addirittura nelle crepe dei marciapiedi e dell’asfalto stradale.
PROPRIETÀ OFFICINALI
Il farinello è uno spinacio selvatico, e come tale abbastanza ricco di ferro. Buono anche il contenuto di vitamine A, B1, C e di sali minerali quali fosforo e potassio.
Al pari degli spinaci domestici, però, la pianta può possedere una discreta quantità di acido ossalico, specie se vegeta su terreni azotati. Gli ossalati sono sostanze che tendono a cristallizzare all’interno dell’organismo, per cui una loro massiccia assunzione può dar luogo a dolorosi calcoli renali. Di questa caratteristica tengano conto coloro che ne soffrono.
Si tenga ugualmente conto del fatto che nella pianta sono presenti saponine, sebbene in misura piuttosto trascurabile: tuttavia è bene non esagerare con il loro consumo per non provocare fastidiose irritazioni intestinali.
Nel farinello è presente un olio essenziale noto come “essenza di chenopodio”, costituito principalmente da ascaridolo, un potente antielmintico, in grado cioè di uccidere i vermi intestinali o altri elminti parassiti.
Ha anche proprietà carminative (impedisce la formazione di aria nell’intestino), antinfiammatorie e digestive, oltre a virtù diuretiche, emollienti e leggermente lassative.
In certe Regioni gli impacchi di foglie fresche vengono impiegati per curare ascessi o lievi scottature e favorire il processo di rimarginazione di piccole ferite.
Per la sua capacità germinativa e la sua diffusione ovunque, in Asia questa pianta viene usata per superare gravi carestie, e per tenere in vita uomini ed animali.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
Il nome di questo genere di piante deriva dal greco χήν (chen), oca, e πούς, ποδός (pus, pódos), piede, con riferimento alla forma delle foglie, che ricorda vagamente quella del pennuto.
Il nome di specie, invece, è riferito alla pruina biancastra che si nota sulla sommità e sulla pagina inferiore delle foglie. Per lo stesso motivo questa erba prende nome di “farinello”, anche se sovente i contadini lo chiamano “farinaccio” in quanto erba da loro considerata infestante e a torto detestata.
Il farinello è pianta nota fin dalla preistoria, usata nell’alimentazione umana soprattutto per i semi, che ridotti in farina costituivano una pregiata fonte di carboidrati (hanno composizione simile ai semi di quinoa, della cui stessa famiglia fanno parte). Semi di questo spinacio selvatico sono stati ritrovati in siti archeologici risalenti ad epoche preistoriche in Svizzera, Francia, Danimarca e nelle Americhe.
Pare che questa sorta di farina fosse diffusa assai prima di quella ricavata dai cereali. La prova della sua importanza è testimoniata anche dall’esistenza di toponimi derivati dal nome di questa specie, diffusi particolarmente nel Regno Unito.
I semi di farinello, insieme ad orzo e altre sementi, furono l’ultimo pasto dell’uomo di Tollund, una mummia risalente al IV secolo a.C. rinvenuta in un sito archeologico della Danimarca. La perfetta conservazione del corpo fu possibile grazie al fatto che il cadavere venne gettato in una torbiera, dove si verificarono le condizioni adatte per una perfetta mummificazione. L’uomo, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, secondo quanto stabilito dagli studiosi era stato ucciso quale vittima sacrificale in onore delle divinità della fertilità. Gli era stato offerto un ultimo pasto rituale a base di verdure e semi, tra cui quelli del farinello, oltre all’aggiunta di un fungo allucinogeno, probabilmente somministrato affinché venisse attenuato il dolore della morte. Le analisi del pasto all’interno dello stomaco dell’uomo sono state possibili grazie all’ottimo stato di conservazione dei suoi organi interni.
Tra alcune popolazioni degli Indiani d’America l’uso e il consumo di questa erbacea era diffuso ed apprezzato: con le foglie venivano fatte minestre, mentre con i semi macinati si ottenevano focacce o cibi simili alla nostra polenta.
In tempi passati questa specie, oltre che per l’alimentazione, veniva utilizzata come pianta tintoria per tingere di nero i capelli, ma anche quale igienizzante per pentole e padelle di rame.
Viene citata nei “Promessi Sposi” del Manzoni, in questa splendida descrizione della vigna di Renzo: […] una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene salvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli, che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi in somma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di fiori, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. […]
UTILIZZI IN CUCINA
Il farinello si raccoglie durante la primavera, avendo cura di prelevare solo la parte tenera della porzione aerea della pianta. Con il trascorrere del tempo, procedendo verso la stagione estiva, il fusto diventa coriaceo, per cui vengono raccolte solo le foglie.
Queste parti verdi rientrano nella composizione del nostro “prebuggiùn”, sebbene in Liguria non sia erba particolarmente apprezzata, mentre lo è maggiormente in Toscana ed Emilia Romagna.
Le foglie tenere possono essere gustate crude in insalata, oppure si fanno lessare, in purezza o frammiste alle altre essenze. Il sapore è delicato, vira al dolce e ricorda vagamente quello dello spinacio.
Oltre a tutte le preparazioni che conosciamo (ravioli, pansotti, torte salate, risotti, frittate, minestre, ecc.), le cimette di farinello ripassate in padella possono essere un ottimo contorno per carni importanti, oppure possono essere cucinati insieme alle patate per farne sformati, polpettoni, polpette, crocchette e simili.
Anche i semi sono perfettamente commestibili, e pur non essendo saporiti come quelli della quinoa, sono ugualmente ricchi di proteine e preziosi sali minerali. Si raccolgono in piena estate, dalle sommità della pianta, sfregando le infiorescenze tra le mani. Si mettono una notte in ammollo, e si possono usare per zuppe, sformati, budini, biscotti, dessert.
Se ne può anche ricavare la farina con un macinacaffè: è ottima per la produzione di pane, pizza e paste frolle.
LA RICETTA
Farinello con burro e uova
(Ricetta di famiglia)
Ingredienti:
– Una porzione abbondante di farinello
– Uova (un uovo a testa)
– Una noce di burro
– Formaggio parmigiano o grana grattugiato
Procedimento:
Raccogliere sommità e foglie del farinello, risciacquare e lessare brevemente in acqua bollente salata.
In un’ampia padella far sciogliere una noce di burro, versare gli spinaci selvatici lessati e appena strizzati, rigirarli una sola volta, quindi spargervi sopra abbondante parmigiano grattugiato e sgusciarvi le uova. Coprire con un coperchio e far cuocere il tempo necessario affinché le uova siano pronte.
Questa ricetta è ottima sia con il farinello che, ancor più, con lo spinacio selvatico di montagna, il Buon-Enrico (Chenopodium bonus henricus).
Buon appetito!
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