Sabato 11 marzo alle ore 21 al Teatro Nuovo di Valleggia andrà in scena “OCCHIO PIN” di Gershom Freeman, presentato dalla “Compagnia dell’Argomm Teatro”
SABRINA ROSSI
Un brillante spettacolo andrà in scena sabato 11 marzo alle ore 21 al Teatro Nuovo di Valleggia, presentato dalla “Compagnia dell’Argomm Teatro”. Si tratta di “OCCHIO PIN” di Gershom Freeman, regia di Ferruccio Masci, una delle fiabe più conosciute al mondo, sicuramente il burattino più famoso, la trasposizione di un archetipo antichissimo in chiave favolistica…sicuramente non solo, e nemmeno soprattutto, per bambini. Chi non ha mai sentito narrare di un personaggio nato senza essere concepito sessualmente da un padre virtuale e da una madre terrena grazie ad un intervento mistico? Il paradigma della nascita di Pinocchio ha radici lontane e profonde: nell’inconscio di ognuno di noi. Forse è proprio questa la ragione del suo successo planetario e metatemporale.
Gershom Freeman, autore del testo teatrale in oggetto, rovescia e ironizza già dal titolo la seriosa pedagogica supponenza della fiaba per poi proseguire nella sua leggera e profondissima iconoclastia con tutti i personaggi collodiani.
I personaggi si rivelano per quello che l’inconscio, ovviamente senza renderne edotta la mente consapevole, ha sempre saputo: i genitori di Pinocchio sono Mastro Geppetto e la Fata Turchina, impaludati in una relazione coniugale silenziosamente ingannatoria, legati da una non dichiarata complicità omertosa. Mangiafuoco si sdoppia nelle due facce della medesima maschera, Mangia e Fuoco, imbonitori irretiti dallo stesso ragno, l’aracnide affascinante e pericoloso dello spettacolo, immagini prive di onestà, simulacri di divertimento omologante. Il Gatto e la Volpe si presentano nelle sembianze ancor più antropomorfe di due “luminari del sapere” autoreferenziali e supponenti, convinti di riconoscere malattie che affermano di essere in grado curare senza comprendere di essere loro stessi un cancro. Lucignolo è una ragazza, Lucy (Gnolo è il cognome …) amata da Pinocchio, ed è l’elemento scatenante e liberatorio che, senza mai apparire sulla scena, diviene il propulsore della storia. Il Grillo Parlante, voce fuori campo, si rivela per ciò che è, la coscienza di Pinocchio: esiste una cattiva coscienza? Parlare con se stessi è sintomo di pazzia o garanzia di salute mentale? È indispensabile incontrare i propri mostri per liberarsene? Quante domande nelle risposte del grillo! E finalmente Pinocchio, quello che i genitori chiamano Pin, (fa molto slang giovanile), cerca di comunicare ai genitori/creatori di essere un umano e non un burattino e, cosa ancor più importante, di essere femmina e di amare Lucy, ma sappiamo bene che “non esiste più sordo di chi non vuol sentire”. Dovrà far tutto da solo, cercando di guardare dentro di sé e “guardare dentro di sé è sempre guardare mostri” fino a comprendere che la magia prevaricante e castrante della Fata Turchina, quella che gli deturpa il viso facendogli crescere il naso ad ogni bugia, è un inganno della coscienza, è paura di vivere.
Gershom ci concede un lieto fine, per Pin e per i genitori, una sorta di inno alla libertà ed alla consapevolezza, una fiaba moderna che ci conduce per mano nel labirinto delle nostre anime per incontrare il Minotauro che vi abbiamo nascosto e comprendere che non è un mostro perché i mostri esistono solo nelle cattive coscienze di quelli che ci credono.
Tre soli attori ed una voce fuori campo sono gli interpreti della messa in scena.
Essenziali aggiustamenti nel costume, delle maschere e tanta abilità interpretativa gli strumenti per consentire i cambiamenti di ruolo e di luogo che si realizzano in scena attraverso la magia della luce e dai minimi aggiustamenti dei pochi oggetti sul palco.
Alcuni ammiccamenti alla classica lettura filmica di Walt Disney saranno utili per coglierne i messaggi subliminali che hanno invaso occhi e pensieri degli spettatori e che, finalmente disvelati, si mostrano per ciò che sono.
Il dottor Lo Gatto e il professor Volpe ironizzano sulla fiducia nella scienza come sede di verità immutabili ma soprattutto giocano sul ruolo della fama e della ricchezza che divengono garanzia di quella stessa cultura che hanno comprato e privato di valore.
Evidente il rimando alla commedia dell’arte di italica tradizione nelle pose e nelle maschere di Mangia e di Fuoco, dove il tema della maschera e dei ruoli è una delle tante chiavi di lettura del testo che la regia traduce sulla scena.
La Fata Turchina e Papà Geppetto, afflitti da tormentoni lessicali, si mostrano come la farsa della vita di coppia, come prigione coniugale, come volontà di reciproco inganno, consapevole? rituale? La questione si apre e si offre irrisolta allo spettatore che si trova immesso nella storia non più come osservatore ma come protagonista, forse proprio nella condizione di un Pinocchio che vuole gridare, come finalmente farà la giovane protagonista, “niente fili nella testa ma pensieri, e adesso basta”.
Intimi e complessi attorialmente i monologhi-dialogati di Pin con il Grillo che la giovane attrice conduce da sola sul palco interloquendo con una voce fuori campo.
Un momento particolare si colloca nella canzone interpretata da Pin Mangia e Fuoco nella quale il tema della libertà di scelta e di identità raggiunge la sua più chiara esplicitazione e che prelude all’epilogo nel quale si offre a tutti i personaggi la possibilità di divenire persone rivelando come la magia non sia una forza che dall’esterno trasforma un burattino in un umano, ma abiti nel profondo di ognuno e consista nel gettare la maschera e divenire ad ogni scelta, in un sorriso, in un passo di danza, in un atto d’amore, divenire se stessi accettandosi per ciò che siamo, fragili animali mutevoli che devono imparare ad amarsi … così finalmente potremo congedare il grillo parlante … oppure …
Interpreti: Michelle Fantasia, Gianni Lamanna, Mariangela Eterno. Voce fuoricampo: Ferruccio Masci
Info e prenotazioni: 333/4667029, mail: [email protected]
Ingresso intero 8 euro, ridotto 5 euro
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