Le montagne della follia, romanzo del 1936, dello scrittore americano anche noto come “il solitario di Providence”, Howard Phillips Lovecraft.
LUCA NONNE
In viaggio nel polo sud, un gruppo di esploratori faranno presto una scoperta inattesa e terribile:
una città remota, nascosta nelle profondità dell’Antartide, al suo interno la presenza di una realtà extra-umana, che abitava il pianeta prima del tempo degli uomini, milioni di anni fa.
Creature mostruose ritrovate congelate in perfetto stato di conservazione, la cui natura e tecnologia vanno aldilà della comprensione umana. I coraggiosi esploratori percorrono questo sentiero orrorifico nei meandri di una civiltà antichissima (gli antichi, appunto); aiutati dai reperti ritrovati, apprenderemo insieme a loro la storia e la cultura di alcune delle grandi razze che appartengono al pantheon lovecraftiano, in una delle più complete e sistematiche descrizioni che Lovecraft abbia mai fatto della sua mitologia. Un passo dopo l’altro, ciò a cui assisteranno diventerà sempre più assurdo e umanamente intollerabile.
Autore estremamente prolifico, talvolta controverso per le sue posizioni (nota l’accusa di razzismo) Lovecraft è con tutta probabilità, dopo Edgar Allan Poe, lo scrittore di genere horror più noto e influente nell’immaginario culturale, citato in numerose opere: musica, libri, fumetti, videogiochi, film e persino cartoni animati.
Molti forse avranno presente la trilogia di episodi della celebre serie satirica americana South Park, dedicata al mito di
Cthulhu; fra gli esempi più classici, “alien” di Ridley Scott, e “la cosa” di Carpenter (la cui vicenda non a caso si svolge in Antartide).
Se le due opere che a lui si ispirano, tuttavia, lasciano aperta la possibilità di un happy ending, questo non è certo contemplato nel mondo del padre del Necronomicon.
L’autore prova una totale sfiducia riguardo la possibilità che l’uomo possa conoscere il cosmo, in modo profondo, i limiti della scienza in tal senso sono evidenti; ciò però è anche un bene: la ristretta coscienza umana ci evita sofferenti verità, che ci farebbero altrimenti impazzire, sorte che (lasciandoci il dubbio) sembra toccare ai protagonisti.
La poetica “dell’orrore cosmico”
che permea le sue opere, nasce proprio nella presa di coscienza della situazione umana, nella sua finitudine e insignificanza, rispetto all’immensità di un universo a noi estraneo, silente, inconoscibile. Attraverso i filtri dei generi letterari, Lovecraft ci comunica qualcosa di tremendamente realistico, materiale e tangibile: l’assenza di senso, problema radicato nella contemporaneità, con cui l’uomo deve duramente convivere.
Nemmeno alla morte viene attribuito un significato: la morte dei suoi personaggi non porta a nessuna conciliazione, nessuna redenzione.
Le creature lovecraftiane non sono benigne, ma sono guidate, in virtù della loro superiorità, dal più bieco darwinismo. L’uomo è destinato a perire, il suo destino non può che essere quello di una inevitabile dissoluzione.
Nonostante le premesse, il solitario di Providence ci regala pagine memorabili di ottima letteratura, i cui tratti sono a volte talmente grotteschi da riuscire a stemperare il clima, immergendoci nel divertimento più puro.
Fra i racconti più noti dell’universo lovecraftiano, continuazione ideale del romanzo incompiuto di Poe “le avventure di Gordon Pym” a cui si ispira. Opera sicuramente irrinunciabile per qualunque amante dell’horror.
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