Due singolari coincidenze a confronto: i ponti romani di Quiliano e quelli del Finale
I resti di ponti alcuni romani sono concentrati in Val Ponci, e lo stesso accade in Val Quazzola Quiliano. Perchè sono inesistenti (a parte qualche raro caso) sul resto del percorso?
Le circostanze sono diverse tra loro.
GIUSEPPE TESTA
Le grandi strade hanno senso per i grandi imperi: finiti questi termina la loro funzione e vengono abbandonate. Anzi le strade, nel medioevo, diventavano un pericolo perché facilitavano il passaggio a barbari e razziatori. Più di una volta furono messe fuori uso per ostacolare invasioni. Nelle nostre zone una gran parte di viabilità romana era stata divelta nel 1240, per ostacolare l’esercito di Manfredo Lancia, Vicario Imperiale di Federico II, venuto a cingere d’assedio il castello di Pietra, per sottrarlo ai Genovesi, a cui aveva dovuto consegnarlo il vescovo di Albenga, Simone II.
Per le strade romane del periodo post-impero si potrebbe citare una frase: “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”. Se qualche tratto serviva a livello locale era quantomeno tenuto transitabile dai contadini della zona, comunque scarnificato dai laterizi, ridotto a mulattiera e perciò ristretto, e con parte di carreggiata inglobato nelle proprietà adiacenti. D’altra parte chi controllava e puniva? Se invece non serviva più, ma era fuori dai tracciati importanti ed in zone poco antropizzate poteva essere dimenticato. Ecco la fine di molti monumenti, mausolei, ponti, tratti di strada ecc. Laddove vi era la vicinanza ad un centro abitato, abitazioni o attività umane, tutto è stato nei secoli asportato e reimpiegato: in zone troppo lontane e disabitate, dove non c’era convenienza, qualche resto è rimasto, ed ha solo dovuto lottare contro il tempo (anagrafico) ed il tempo (atmosferico).
La principale causa della scomparsa dei ponti (ma anche dei selciati, basolati, muretti laterali e parti come muri di sostegno ecc), è quindi il saccheggio da parte dell’Uomo. Oggi, nell’edilizia, abbiamo alti costi di manodopera e relativamente bassi di laterizi e materiali da costruzione in genere. Una volta la manodopera era a bassissimo costo, addirittura zero per gli schiavi (salvo il cibo), mentre i materiali erano costosi, o faticosi da procurare. Cosa c’è allora di più comodo di asportare parti non più utili, che nessuno vigila e punisce per il furto, per di più se sono pietre sbozzate e lavorate, e magari sono vicine al luogo del reimpiego? Asportazioni di materiali lapidei sono segnalate nella zona di Calvisio e di Verzi, e qui in effetti la via romana non esiste più, rendendo difficile risalire al tracciato originario o solo ipotizzarlo. In Valle Ponci, se ci facciamo caso, di romano sono rimasti solo i ponti: il sentiero medievale che li collega è generalmente parallelo alla strada originale (che non esiste più).
Come oggi le autostrade, anche le grandi strade romane erano progettate e costruite con una concezione simile, dall’inizio alla fine. Vi immaginereste, ad esempio, che la moderna autostrada Ge-XXmiglia per un tratto avesse ponti e gallerie (come in effetti è) e per un altro tratto superasse la varie valli della Riviera scendendo e risalendo? Dall’inizio alla fine ci deve essere in progetto unico e soluzioni costruttive uniche. Però, così come oggi pensiamo all’autostrada ligure, così dobbiamo pensare la via J. Augusta di 2000 anni fa: vi era una lunga serie di ponti su tutto il percorso, muri di sostegno a monte ed a valle, canali per far defluire l’acqua meteorica, stazioni e mutazioni lungo il percorso, strade di accesso ecc.
Per i romani potevano variare i materiali usati perché si adoperava ciò che era immediatamente reperibile nelle vicinanze del percorso.
Viene da domandarsi come mai, su strade così importanti, nei due tratti di cui stiamo parlando, e solo in quei tratti, sono rimasti un certo numero di ponti e tutti concentrati in pochi kilometri. Non possiamo certo pensare che per tutto il resto dello sviluppo questi fossero assenti. In effetti il territorio della Liguria è simile, da Vado a XXmiglia. E’ naturale pensare che tutta la strada fosse arricchita di queste infrastrutture, che oggi sono scomparse, o nascoste. Potremmo fare un conteggio di massima: dopo avere misurato il tratto che comprende i ponti della Valle Ponci, dal primo all’ultimo, questo risulta lungo alcuni KM (meno di 4 per la precisione). Se dividiamo poi il chilometraggio totale della Julia Augusta da Vado fino al Trofeo di Augusto a la Turbie, e moltiplichiamo per 5 (che sono i ponti presenti nel tratto finalese), potremmo avere una vaga idea di quanti potevano essere i ponti solo nel tratto costiero! Questo calcolo empirico dà come risultato un numero ben superiore a 100.
Partendo da queste considerazione facciamo caso alla Val Ponci. La strada di oggi ricalca solo in minima parte l’antico percorso. Questa è una zone rurale che, a parte l’abbandono delle attività agricole, non è dissimile da allora, cioè non ha visto grossi insediamenti umani nei pressi. I ponti hanno certo lottato con l’abbandono della manutenzione e soprattutto hanno lottato contro il tempo meteorologico, frane, dissesti, piene dei corsi d’acqua, ecc. Infine il fenomeno del carsismo ha indotto l’acqua a percorrere percorsi sotterranei, facendoli rimanere all’asciutto ma evitando l’azione erosiva. La strada originaria è però sparita, sia nel tracciato sia nei materiali, ne rimane solo un tratto (ancora da scavare) sotto un esteso vigneto: i ponti erano troppo impegnativi da smantellare? Sicuramente era sconveniente farlo, perché non serviva. Poche abitazioni nei paraggi, ed eccessiva impegno per smontare per portare via il materiale a dorso di mulo. Inoltre la presenza di cave nella zona dava facilità di reperire pietrame. Infine una curiosità: ogni ponte ha una piccola cava nelle vicinanze, da cui sono state estratte le pietre. Le cave però sono sette, e ciò potrebbe significare la presenza a suo tempo di altri due ponti, oggi scomparsi o nascosti.
In Valle Quazzola, fermo restando la straordinaria concentrazione di ponti in un tratto ristretto, i ponti hanno avuto storia leggermente diversa: quelli vitali alla viabilità sono stati oggetto di manutenzione ed oggi sono ancora in piedi; quelli di cui si poteva fare a meno sono stati abbandonati nel tempo e ne restano poche vestigia. D’altra parte qui la strada ricalcava una antica via del sale, poi la Emilia Scauri, quindi era una direttrice antichissima mare-oltregiogo. Dopo la fine della viabilità romana questo tratto è rimasto, per tutto il Medioevo fino all’età moderna, un percorso importante per gli scambi e le economie locali, cosa che non valeva per il tratto Vado-Finale. Sono comunque tutti relativamente vicini e, cosa curiosa, sono nella parte medio-bassa della valle, dove è più forte la potenza erosiva della acque meteoriche, mentre nella parte in alto non vi sono tracce. Alcuni di questi hanno subito un importante restauro per essere usati come strade di cantiere al tempo della costruzione dell’autostrada. Una curiosità: quando percorrete la Val Quazzola, la strada di oggi passa da una sponda all’altra del rio/torrente: dovreste allora pensare che il rio è la divisione (simbolica, cioè per convenzione) tra le Alpi e gli Appennini. Durante il tragitto “passerete” ripetutamente dagli uni agli altri.
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