Ci sono storie, fiabe, leggende della vallata di Quiliano che fanno parte della nostra tradizione e per questo vanno difese e tramandate.
LAURA BRATTEL
Molte di queste non erano destinate solo a bambini, venivano raccontate anche tra adulti generalmente la sera dopo una giornata di lavoro. Ci si riuniva attorno a una stufa o un camino, in quei tempi in cui la televisione non esisteva ancora, e si raccontavano storie in dialetto locale, ed erano, come quasi tutte le favole di un tempo, cruenti e spaventose.
Una di queste fiabe, rimaste impresse nella nostra memoria storica, si intitola “Picchettin e il fico”, tramandata da tre generazioni. Un prezioso contributo di Rita Saettone, che ha recuperato la memoria dalla madre Lina Venturino, detta Tilde, poi trasmessa alla nipote Laura. Tutto questo con lo scopo di voler divulgare e mantenere vivi i ricordi del passato.
SABRINA ROSSI
Picchettin era un bravo bambino che viveva insieme alla madre. Un giorno la donna chiese al figlio: “Picchettin, mi aiuti a spazzare per terra? Ho troppo da fare”. Picchettin rispose: “Sì sì, mamma”. Cominciò allora il suo lavoro.
Ad un tratto, trovò sotto la credenza una piccola moneta e, felice, la portò subito alla madre.
“Mamma, guarda cosa ho trovato là sotto!” disse Picchettin. E la madre rispose: “Tienila, comprati qualcosa”.
Picchettin allora iniziò a riflettere su cosa potesse comprare con quella piccola moneta, senza sprecare. “Caramelle? – pensò il piccolo Picchettin – No, la carta si spreca e si butta poi via. Noci? Però le noci hanno il guscio che si butta via, sarebbe un altro spreco. Castagne? No, anche qui c’è una scorza che poi si spreca. Ci sono! Comprerò un fico. Anche qui però c’è il picciolo che si spreca, ma non importa: mangerò anche quello”.
Allora si decise ad andare a comprare un fico, ma con questa monetina riuscì ad acquistarne più di uno. Iniziò a mangiarseli, picciolo compreso, ma ad un certo punto un fico cadde a terra. Picchettin in quel momento si trovava seduto su un muretto, perciò scomodo per scendere a recuperarlo; decise perciò di andarci il giorno seguente.
L’indomani, in quel punto, non trovò più il fico che aveva acquistato, ma un albero bellissimo, la pianta del fico, carico di frutti. Rimasto stupefatto, salì sull’albero e iniziò a mangiarseli, uno dopo l’altro.
Mentre si trovava sull’albero, passò un uomo grande e grosso. Picchettin non aveva sentito parlare bene di lui, perché si diceva fosse un orco che mangiava i bambini. L’uomo lo guardò e gli chiese in modo gentile di buttargli giù un fico. Picchettin, molto diffidente, fece segno di non volere. L’uomo insistette più volte, così il bambino che era buono d’animo ne prese uno e glielo buttò giù. Il frutto, però, finì su un escremento.
L’uomo glielo fece notare e si lamentò del fatto che non poteva mangiarlo.
Picchettin allora gli disse: “Se vuoi un fico allora sali sull’albero a prenderlo”. Ma l’uomo rispose: “Io sono vecchio, non posso. Dammene uno, bel bambino”.
Allora si fece coraggio, prese un fico e glielo porse facendo attenzione. Ma l’uomo fu troppo veloce, lo prese per la mano, lo tirò giù dall’albero e lo infilò dentro a un sacco.
L’orco camminò molto con quel sacco, ma ad un certo punto si fermò. Doveva fermarsi per fare i suoi bisogni. Nel frattempo a Picchettin venne un’idea e disse all’uomo: “Vai a fare i tuoi bisogni più lontano, altrimenti mi rimane addosso il cattivo odore”. L’orco allora si allontanò rispettando le indicazioni di Picchettin. Si allontanò, sempre di più, finché la sua voce risultò fievole.
Lui, come molti bambini di un tempo, portava sempre con sé un coltellino. Lo tirò fuori e iniziò a tagliare l’apertura del sacco, cercando di non rovinarla troppo e per fare in modo che l’orco non se ne accorgesse. Uscì dal sacco, lo riempì di pietre e lo richiuse accuratamente.
Successivamente andò a nascondersi dietro a un cespuglio per non farsi vedere. L’orco tornò, caricò in spalla il sacco e disse: “Picchettin, come sei diventato pesante!” E il bambino, da dietro il cespuglio, rispose: “Eh, ho mangiato tutti quei fichi!”
L’orco, che fortunatamente non era molto sveglio, non si accorse dell’inganno e si avviò verso casa. Mentre camminava, Picchettin gli stava dietro, a distanza, per vedere fin dove arrivasse. L’orco aveva un grande passo, ma il bambino riuscì comunque a stargli dietro.
Giunse così a casa dell’orchessa. “Moglie, moglie! – urlò l’orco – Metti su la pentola, perché Picchettin ce l’ho io!” Glielo ripeté più di una volta, perché la moglie, forse sorda, non dava risposta. “Sì, sì!” rispose dopo poco. Arrivò di corsa con un grosso paiolo d’acqua e lo mise sul fuoco. Nel frattempo, l’orco entrò in casa, guardando soddisfatto il paiolo. Era molto stanco dopo la camminata e non aveva voglia di tirare fuori il bambino dal sacco. Lo posò sul pavimento e si lasciò cadere su una sedia.
L’acqua dentro al paiolo cominciò a bollire, pronta per poter lessare quel gustoso bambino. L’orco si avvicinò al paiolo, sotto osservazione della moglie, e gettò direttamente il sacco nell’acqua. Il suo contenuto, così pesante per via delle pietre, fece schizzare l’acqua bollente addosso alla moglie, che rimase ustionata, cadde a terra e morì. L’orco, che era un uomo rozzo, invece di aiutare la moglie e vedere se poteva fare qualcosa per salvarla, inveiva ancora contro di lei. A lui interessava solamente il pasto! Guardò dentro la pentola e si accorse che all’interno il bambino non c’era.
Picchettin, che da bambino astuto e e coraggioso aveva avuto modo di salire sul tetto per seguire la vicenda, si mise a ridere e a prendere in giro l’orco: “Ah, ah! Pensavi di aver preso Picchettin? E invece hai cotto tua moglie!”
L’orco, molto arrabbiato, si girò e tuonò: “Come hai fatto a salire sul tetto? Eri nel sacco e ora sei lassù”.
Picchettin cercò di sfruttare questa situazione e gli disse: “Dietro la porta c’è un ‘panferu’ (uno strumento di metallo che in passato si utilizzava in cucina, ad esempio per le frittelle per non bruciarsi) lo ho preso, lo ho ben arroventato sul fuoco, me lo sono infilato di dietro e sono saltato fin qui!”
L’orco allora corse immediatamente a prendere lo strumento, lo fece arroventare sul fuoco e … si ustionò e morì.
Picchettin, che aveva avuto un grande coraggio, scese dal tetto e si avviò verso casa, lasciando dietro di sé due orchi morti.
L’intera vallata, grazie al bravo bambino, poté ritenersi libera dalle minacce.
disegni: Federico Carretta
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