L’ex maestra Adriana Pasquale e l’alunno Alessandro Murialdo ricordano la scuola di Cadibona, tra pluriclassi, classi uniche e un modo d’imparare d’altri tempi
MARCO OLIVERI
Ad Adriana Pasquale mancano soprattutto gli alunni e le colleghe. Anche se è trascorso tanto tempo da quando la donna era maestra della scuola di Cadibona, realtà dismessa, ormai, più di vent’anni fa, il ricordo delle pluriclassi e il rapporto speciale instaurato con i bambini della frazione quilianese è ancora vivo in lei.
Infatti, il particolare contesto sociale rappresentato da una scuola elementare di un paese di campagna poneva innanzitutto le basi per un modo d’insegnare diverso dall’ambiente scolastico per antonomasia, poiché i pochi allievi che frequentavano il plesso erano raggruppati nella classe che comprendeva la prima e la seconda e in quella che includeva la terza, la quarta e la quinta.
«Questa condizione giovava agli studenti più piccoli che venivano stimolati dagli alunni più grandi – racconta la maestra Adriana, che, alla scuola di Cadibona, ha insegnato antropologia, storia, geografia, studi sociali ed educazione motoria per circa 7 anni – ho scelto di diventare maestra per imparare dai miei interlocutori, che fossero ragazzini o colleghi, con cui avevo la possibilità di scambiare idee, confrontarmi, ideare e organizzare iniziative originali. Ho sempre cercato di interagire e parlare con tutti, annullando la distanza tra cattedra e banchi».
Tra gli ex studenti iscritti all’ultima classe unica della scuola di Cadibona c’è Alessandro Murialdo, oggi titolare dell’impresa edile Tecno Ares di Savona e residente in località Capanne: «Eravamo ben 18 bambini! – ricorda – fu un bel periodo, ci conoscevamo tutti perché il paese era piccolo e giocavamo insieme all’aria aperta, ci piaceva rincorrere un pallone intorno ad un tombino rialzato in cemento o sfidarci a nascondino, divertimenti semplici e ruspanti che purtroppo i giovani d’oggi non praticano più».
Tra le attività promosse dalla direzione della scuola di Cadibona, la riscoperta degli antichi mestieri del luogo e l’avvicinamento allo sport: «Mio marito aveva fatto arare un terreno sotto la nostra casa e ogni alunno seminò il proprio pezzetto di terra, così, alla fine dell’anno, organizzammo un piccolo mercato ortofrutticolo con i prodotti raccolti – riprende Adriana Pasquale – inoltre, le varie associazioni sportive venivano in classe per presentare ai bambini diverse discipline come, ad esempio, la scherma».
Poi, la chiusura del plesso che, sul territorio, comporta una disgregazione sociale. Conseguenza che, ancora oggi, per chi lavorava o frequentava la scuola di Cadibona, suscita un po’ d’amarezza: «Per non dismettere il plesso del Santuario, a Savona, si decise di chiudere quello della frazione quilianese, zona che, con la perdita di altri luoghi di aggregazione come l’asilo, ha perso la propria identità, trasformandosi in un posto di passaggio e un dormitorio – conclude l’ex maestra – qui si vive tuttora bene, lontano dal caos o dall’inquinamento, ma, da allora, gli abitanti non s’incontrano più, i bambini non si conoscono tra di loro, perché oggi frequentano le scuole a Savona, sono impegnati in troppe attività e hanno dimenticato come si gioca, mentre prima ci si ritrovava fuori dalla scuola, in quanto c’era un piacere diverso di stare insieme e un altro modo di vivere».
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