ANDREA OLIVERI
“Un giovane alto e snello, con gli occhi profondi sottolineati dal contrasto dei baffi e da una chioma mossa e abbondante”: così si presentava il commissario ‘Michelangelo’ agli uomini del Distaccamento Nino Bori durante i duri anni della lotta di Resistenza.
‘Michelangelo’, al secolo Achille Cabiati, era nato a Vado Ligure da una famiglia semplice e operaia: dalla madre aveva attinto l’amore per la sua terra e per il tessuto operaio, dal padre la laboriosità, la tenacia e la creatività.
Aveva preso la via della montagna alla fine di giugno del 1944 e dalla Valle di Vado aveva raggiunto Pian Dei Corsi dove, tra faggi e castani, era sistemato l’accampamento del Distaccamento Calcagno. Il Nino Bori nascerà proprio in seno ad esso, operando nella zona delle basse Langhe, oltre Riofreddo, poco sotto la cima del Colle dei Giovetti. Achille Cabiati assunse il suo nome di battaglia in ricordo dell’artista Buonarroti che incarnava l’immagine dell’uomo in lotta per forgiare il proprio destino. Già, perché Cabiati, prima di essere partigiano era soprattutto un uomo d’arte e già all’età di quindici anni aveva sentito l’inclinazione per il disegno e la scultura, dedicandosi alla costruzione delle statuine per il presepe della sua Parrocchia e di piccole sculture di terracotta che donava gli amici. Più tardi, iniziò a lavorare come tecnico disegnatore e disegnatore meccanico nella fabbrica Servettaz di Savona, nella Fornicoke di Vado e nella S.A.M.R., ex Michallet. In queste fabbriche formò la sua coscienza politica, schierandosi dalla parte degli operai durante le vicende politiche nazionali e locali seguite all’armistizio dell’8 settembre ’43 e nei vari scioperi che da ottobre ’43 accompagnarono la vita dei lavoratori vadesi, compreso quello dell’1 marzo ’44 che lo videro dalla parte di coloro che lottavano contro i nuovi invasori tedeschi e il rinato regime fascista.
Quando divenne partigiano, Cabiati non era nuovo all’ambiente militare: nel 1942 era stato inviato in Russia e lungo la linea del Don visse la dura esperienza di trincea, fino alla disfatta dell’armata italiana (l’ARMIR) di cui faceva parte. Achille fu tra i fortunati che poterono ritornare, anche se passò un lungo periodo presso alcune famiglie dove toccò con mano lo spirito popolare che animava il popolo russo e le sue idee collettivistiche di libertà e di democrazia. Nell’aprile del 1943 fu rimpatriato, ma venne subito ricoverato a causa di un gravissimo congelamento alle estremità inferiori.
Nel distaccamento Nino Bori, nato nuovo, male organizzato, con poche armi e con molti giovani privi di esperienza militare, le responsabilità e i rischi erano molti, ma ‘Michelangelo’ diede prova di grande forza d’animo e di intelligenza strategica, invitando tutti a non lasciarsi abbattere nei momenti più difficili, facendo capire con linguaggio semplice, quasi scultoreo, che i partigiani non dovevano combattere per vendetta ma per rivendicare dei diritti. In particolare, aiutò le famiglie contadine procurando loro latte e medicine per i bambini sofferenti.
Nel novembre ’44 il Distaccamento Calcagno ricevette da una staffetta la notizia che presto sarebbero stati oggetto di da un grande rastrellamento. Bisognava arretrare ed entrare nel fitto bosco, cercando di rimanere possibilmente uniti: il gruppo invece, a causa della difficoltà nell’orientarsi di notte, si divise in due. Il vicino monte Camulera, familiare ai partigiani che spesso vi si rifugiavano per sfuggire ai tedeschi, si rivelò in quell’occasione una scelta fatale, almeno per quattro di loro che caddero in un’imboscata e vennero trucidati; tra essi anche uno dei vertici del Calcagno, Gin ‘Leone’ Bevilacqua.
La formazione si ritrovò così senza una guida e per ‘Michelangelo’ che riuscì a portarsi fuori dal rastrellamento, sembrò doveroso assumerne il comando, cosa che fece con efficienza fino alla Liberazione.
A guerra conclusa, Achille Cabiati si dedicò all’arte, passione mai dimenticata, ribadendo, anche attraverso la scultura, gli ideali che lo avevano sorretto e animato per tutto il periodo della Resistenza. Significativo quando volle ricordare il grande rastrellamento delle Rocce Bianche scolpendo una statua che riproduceva “il partigiano che spezza le catene” che collocò contro la montagna, così da poter cogliere l’immagine del partigiano che, spezzando le catene della tirannide, apriva nuovi e più liberi spazi umani.
Fece parte dell’importante gruppo “Cavallino Rosso” con l’intento di svecchiare la cultura savonese e nel biennio 1947/48 compì un viaggio a Roma per perfezionarsi, entrando in contatto con artisti come Consagra, Turcato, Guttuso e Vespignani. Alla scultura alternò la pittura – grazie alla quale venne premiato nelle più note manifestazioni artistiche in Italia e all’estero – e dal 1952 anche la ceramica. Molte sue opere con al centro le fabbriche e il mondo operaio rappresentano uno dei momenti più alti dell’arte ligure di quegli anni. Nel 1956 attrezzò a Vado il suo laboratorio con forno “La Bottega”. In tutte le sue creazioni, Achille ‘Michelangelo’ Cabiati mise sempre al centro l’empatia e l’ammirazione per quegli uomini semplici che combattevano contro chi era corrotto, tesi alla ricerca di un mondo e di una vita migliore, riuscendo a far collimare sia l’artista sia il partigiano che erano dentro di lui. Una morte prematura privò il mondo dell’arte e del riscatto di una figura importante e irripetibile.
Achille Cabiati, 42 anni (Vado Ligure, 1920 – 1962)
FONTI:
A. Lunardon, La resistenza vadese (Marco Sabatelli Editore, 2005)
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