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DALMAZIO BRIANO, MORIRE DI FATICA E PUNIZIONI

ANDREA OLIVERI “Internati Militari Italiani” era la triste etichetta posta dalle autorità tedesche sopra i nomi dei numerosi soldati italiani catturati e deportati nei campi di lavoro forzato in Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio da parte del Governo di Badoglio, avvenuta l’8 settembre 1943. Il soldato Dalmazio Briano era stato arruolato nel […]

ANDREA OLIVERI

“Internati Militari Italiani” era la triste etichetta posta dalle autorità tedesche sopra i nomi dei numerosi soldati italiani catturati e deportati nei campi di lavoro forzato in Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio da parte del Governo di Badoglio, avvenuta l’8 settembre 1943. Il soldato Dalmazio Briano era stato arruolato nel 1940 nei ranghi dell’esercito italiano: originario di Quiliano, era stato destinato, neanche ventenne, al reggimento di fanteria e inviato in Grecia, nell’isola di Rodi, allora territorio italiano. Dopo l’armistizio, i militari italiani si trovarono a scegliere se continuare a combattere con la Wehrmacht o se restare fedeli al re Vittorio Emanuele III; i comandanti decisero di considerare il vecchio alleato germanico come un nemico, determinando così l’invasione dell’isola da parte delle truppe tedesche. Dopo un’aspra battaglia e nonostante la superiorità numerica, l’11 settembre l’esercito italiano dovette alzare bandiera bianca e consegnare l’isola agli ex alleati. Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti ad una difficile scelta: o continuare a combattere, ma nelle file dell’esercito tedesco o essere inviati in campi di detenzione in Germania. Dalmazio optò, come la maggioranza dei suoi commilitoni, per la seconda possibilità, diventando così prigioniero di guerra e dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, fu inoltre utilizzato come manodopera coatta senza poter godere neanche delle tutele della Croce Rossa che gli spettavano. Le condizioni di lavoro degli internati militari erano disumane e comprendevano una media di 57 ore settimanali alle quali spesso andavano aggiunti turni domenicali. In quanto prigionieri di guerra sottoposti a lavoro coatto, avrebbero dovuto ricevere un salario, com’era deciso secondo le Convenzioni internazionali, tuttavia tale retribuzione veniva indicata solo sulla carta e mai corrisposta. All’intensa attività lavorativa non corrispondeva certo un’alimentazione adeguata e gli ex soldati si videro costretti a cercare bucce di patate e rape nelle immondizie o cacciare topi, rane e lumache per integrare le magre razioni. La vita quotidiana all’interno del campo era scandita da numerosi controlli e ispezioni e frequenti erano le punizioni corporali. Come se non bastasse, il soldato Briano non poteva neanche contare su un abbigliamento consono al clima tedesco: gli internati disponevano infatti solo della divisa con la quale erano stati catturati e lui che proveniva dai lidi greci, si trovava ad indossare indumenti leggeri, quasi estivi. La malattia era spesso una conseguenza delle dure condizioni di vita e così fu anche per Dalmazio. Resistette fino alla fine della guerra e alla liberazione dei campi di sterminio. Tuttavia dovette attendere ancora due anni per poter far ritorno al suo Paese, ai suoi affetti perché venne rimpatriato solo nel 1947; irrimediabilmente minato sia nel fisico che nella mente, morirà poco tempo dopo a causa delle cure mai ricevute durante la prigionia, ad appena ventiquattro anni. In suo ricordo sarà intitolato il campo sportivo, in via Delfino, a Valleggia.

Dalmazio Briano, 25 anni (Quiliano, 1922 – 1947)

FONTI:

www.wikipedia.org

G. Malandra, I caduti savonesi per la lotta di Liberazione (A.N.P.I, Savona, 2004)

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