ANDREA OLIVERI
“E con aprile scese dai monti la speranza”: sono le parole che appaiono fisse sulla roccia del sentiero che collega Quiliano ai monti di Roviasca e ai luoghi della Resistenza savonese e che meglio rendono l’idea dei sentimenti e delle emozioni che si potevano provare al momento della Liberazione, il 25 aprile 1945. Stesso sentiero, stesse pietre che avevano visto salire per i monti i primi ribelli nel ’43 e che vedranno gli stessi discendere, dopo quasi tre anni di sanguinosa battaglia civile, scalzi e laceri, eppure trionfanti.
Correvano gli ultimi giorni di marzo i comandi di Brigata SAP ricevettero le direttive del comando di Divisione Gramsci per organizzare l’attesa insurrezione popolare: si dovevano innanzitutto salvare le opere e i servizi pubblici – centrali elettriche, acquedotti, poste, stazioni ferroviarie – garantire l’ordine pubblico ed essere pronti a reagire contro i tedeschi in fuga; questi non si sarebbero arresi facilmente, perciò serviva allestire squadre speciali per far fronte all’emergenza che avrebbero potuto procurare e mettere a disposizione personale e materiale medico di pronto intervento.
Il 3 aprile lo stesso comando annunciò l’imminente caduta della Germania: ci si doveva preparare alla resa finale dei conti e ciò significava fissare delle norme per ogni comando di Brigata relative alla scelta della sede del comando, del luogo di raduno dei propri uomini, del trattamento riservato ai soldati nemici come prigionieri, di muoversi con cautela e vigilare su eventuali saccheggi o linciaggi; i sappisti furono così precettati per il mantenimento dell’ordine pubblico durante le ultime battute dell’insurrezione.
In quei giorni venne presentato il Piano Operativo Insurrezionale “A” al Comando della Seconda Zona Ligure per liberare la città di Savona e i suoi dintorni e il 23 aprile il Comando della Brigata “C. Corradini” mobilitò tutti i sei distaccamenti che vennero impiegati nel servizio di vigilanza sulle strade, verso il centro e il porto di Vado.
La gente era ormai conscia del grande momento, le strade si stavano riempiendo di persone grandi e piccole e i richiami alla prudenza degli anziani venivano sopraffatti da scene d’entusiasmo.
Nella giornata del 24 aprile il Comando della Divisione “Gin Bevilacqua” ricevette l’ordine dal comando generale di Savona di “iniziare l’azione d’attacco” e la Divisione “Gramsci” quello di “sferrare il moto insurrezionale occupando o attaccando gli obiettivi prestabiliti”.
All’alba del giorno successivo, gli uomini della “Corradini” si scontrarono a Valleggia duramente contro una colonna di San Marco, mentre quasi tutte le altre squadre SAP erano impegnate in servizio di vigilanza sulle strade. Giunti a Vado e disarmato il porto, i sappisti furono subito acclamati dalla popolazione, ma non ci fu neanche il tempo di vedere le vie ripopolarsi che improvvisamente le batterie nemiche ripresero, avvertite da spie o da segnalazioni ricevute, a colpire pesantemente, costringendo la squadra a ritirarsi nella Valle.
Nelle stesse ore, i volontari dei distaccamenti ‘De Litta’ e “Fratelli Faggi” avevano preso posizione a monte dell’Aurelia, sopra il tratto di strada Spotorno-Zinola con l’ordine di proteggere da agguati nemici la discesa dai monti dei partigiani che stavano confluendo verso Savona. Contemporaneamente, alcune squadre del “Calcagno”, con l’aiuto della “Brigata Cristoni” e dei distaccamenti “Caroli” e “Rocca”, stavano completando la discesa di avvicinamento che dalla Rocca dei Corvi e dal Campo dei Francesi li avrebbe condotti sulle alture sopra Valleggia: gli obiettivi erano quelli di eliminare focolai di resistenza nemica ancora imboscati, sospingere i nemici sempre più a valle salvaguardando i punti nevralgici dalle distruzioni.
Verso mezzogiorno venne segnalato a Vado il passaggio di una colonna tedesca proveniente da ponente lungo l’Aurelia, ben armata di armi automatiche e di artiglieria: l’ordine fu di non affrontarla per evitare rappresaglie fra la popolazione. Questa, controllata a distanza, si diresse poi verso Cadibona, ove avrebbe trovato forze partigiane in condizioni di attaccarla.
Nelle prime ore del pomeriggio del 25 aprile, la “Brigata Briganti” con i sapisti di Porto Vado e di Bergeggi giunse sulle colline vadesi, mentre la “Brigata Cristoni” con i gruppi del “Caroli” e del “Rocca”, non appena allontanata la colonna tedesca, si mosse da Valleggia verso Savona.
In breve tempo, i partigiani ebbero il controllo sull’intera zona vadese: la popolazione si riversò per le strade per dimostrare la loro gioia e la loro gratitudine verso i liberatori e per le vie del centro, dissestate ma assiepate in ogni punto, sfilarono gli uomini in armi della ‘Corradini’. Erano le quattro di pomeriggio, ma c’era ancora da liberare Savona, così si diressero verso il capoluogo, mentre le squadre del “Caroli “procedevano sulla via Aurelia al controllo dei crocevia e occupando il posto di blocco delle Fornaci.
Alle 18 la Brigata, dopo aver superato l’ostacolo del ponte minato sul Letimbro entrò sicura in città: l’azione concentrica dei vari reparti aveva evitato la minaccia d’essere accerchiati dalle forze avversarie, le quali abbandonarono il campo.
Un’ora dopo le brigate “Corradini”, “Cristoni”, “Falco” e “Colombo” ebbero il pieno possesso di Savona e di tutti gli edifici pubblici, nonostante fossero ancora in atto azioni isolate di cecchini che dai tetti sparavano sui soldati e sui civili; immediatamente dopo arrivarono pure le altre formazioni garibaldine e la Brigata “Don Peluffo”: Savona era stata così liberata.
FONTI:
A. Lunardon, La resistenza vadese (Marco Sabatelli Editore, 2005)
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