Nuova tappa del progetto “Percorsi Che Resistono“, dedicato alla Resistenza quilianese: Don Peluffo, il prete dei partigiani.
Sapeva, Don Nicolò Peluffo, di andare incontro al suo destino la sera dell’8 marzo 1945, quando due sconosciuti coperti in viso chiesero il suo intervento per assistere un malato grave. Seguendo il suo senso del dovere e la sua vocazione non perse tempo, s’infilò il cappotto e prese il breviario. Si racconta che gli stessi uomini si fossero presentati la sera stessa e con le medesime intenzioni, prima dal superiore di Peluffo, l’arciprete Giuseppe Calcagno, che però non si fece trovare.
Una volta sulla soglia di casa, Don Nicolò non fece neanche in tempo a chiedere di vedere il moribondo che venne crivellato da 13 colpi di mitra, uno dei quali attraversò il breviario che il prete teneva in petto, per giungere dritto al cuore.
Un’imboscata in piena regola, un sacrificio annunciato quello del ventiseienne sacerdote di Vado Ligure, amico della povera gente e dei partigiani: la domenica prima, infatti, dopo aver detto Messa, era stato arrestato dalle Brigate Nere e rinchiuso in prigione a scopo intimidatorio per convincerlo a fornire informazioni sulla squadra partigiana della zona, la quale aveva preso in ostaggio due militi fascisti; il curato era stato scelto come intermediario per trattarne la liberazione, dopo che già il tentativo di Don Calcagno era terminato con un nulla di fatto.
Quando Don Nicolò portò al comando di Savona la lettera in cui i ribelli della Sap dichiararono che non avrebbero rilasciato i due, s’oppose con sdegno alla richiesta di collaborazione da parte dei repubblichini.
Al termine di tre giorni di minacce, quando i nazifascisti capirono che non avrebbe tradito i partigiani – ‘i suoi ragazzi di Vado’, come li chiamava – venne rilasciato, ma con la promessa che sarebbe stato ucciso alla prima buona occasione.
‘Culin’, come veniva chiamato in famiglia, era stato ordinato vice parroco di Vado due anni prima; con tenacia e abnegazione aveva dovuto affrontare le difficoltà derivate dai danni subiti dalla Chiesa a causa dei bombardamenti.
Nello stesso periodo aveva visto un suo fratello venir deportato in Germania e altri due inviati al fronte dopo un rastrellamento.
Il giorno dopo l’omicidio venne divulgato per tutta la città un manifestino che addossava la responsabilità ai partigiani, ma la comunità vadese ben conosceva i veri responsabili.
Il funerale fu seguito da una grande folla e la salma fu portata a spalle dai giovani. Inoltre, da quel giorno, la divisione SAP di Vado, continuò la lotta ospitando, al suo interno, una nuova formazione, la Brigata Don Peluffo.
Don Nicolo’ Peluffo (Segno, Vado Ligure, 1919 – Vado Ligure, 1945)
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