FINOCCHIO MARINO, L’ERBA DEI MARINAI
Una specie che abita le coste mediterranee, le scogliere, le dune e non teme l’aria salmastra. Detta popolarmente “erba di San Pietro”, protettore dei marinai e dei naviganti, contiene grandi quantità di sali minerali e vitamine, ma vanta anche proprietà digestive e diuretiche. Le sue foglie, grazie al loro particolare aroma, sono ottime in cucina sia crude in insalate o antipasti, sia in zuppe, risotti, torte salate; per tradizione, vengono conservate in salamoia, sott’aceto o sott’olio.
LAURA BRATTEL
NOMI COMUNI: Finocchio marino, erba di San Pietro, frangisasso, critamo, bassiga, bacicci, bacciglia e altri nomi regionali.
NOME SCIENTIFICO: Crithmum maritimum
NOME DIALETTALE QUILIANESE: fenùggiu de mò, bacicci
FAMIGLIA: Apiaceae (Umbelliferae)
DESCRIZIONE DELLA SPECIE
Basso cespuglio perenne, lignificato alla base, dal fusto assai ramificato. Le foglie, glabre e di colore verde glauco, hanno contorno più o meno triangolare e sono bi- o tripennate, con segmenti lanceolati carnosi, che conferiscono alla pianta l’aspetto di una succulenta. Si innestano sul fusto tramite un picciolo che lo avvolge come una guaina. I fiori sono portati da una grossa infiorescenza ad ombrello, leggermente globosa, composta da un numero variabile di robusti raggi (dagli 8 fino ai 36). Il loro colore è un bianco-verdastro con sfumature talora viranti al giallo. I semi sono acheni ovoidali, giallastri o rossastri, che presentano marcate costole longitudinali. In massima parte cadono in mare e grazie al tessuto spugnoso del pericarpo (la parete del frutto che avvolge e protegge il seme), che ha funzione di salvagente, galleggiano a lungo tra le onde, in attesa di essere trasportati su un terreno adatto alla germinazione.
HABITAT
Possiamo trovare il finocchio marino su tutte le coste italiane, sulle scogliere, sulle rupi e nei luoghi ghiaiosi o sabbiosi. Talvolta si spinge leggermente verso l’interno, ma molto raramente. Ama l’esposizione in pieno sole e non teme la salsedine marina, essendo una specie alofita, cioè adattata a vivere in luoghi intrisi di aria salmastra.
PROPRIETÀ OFFICINALI
Il finocchio marino contiene ottime quantità di sali minerali, in particolar modo iodio, dal momento che vive negli ambienti prospicienti al mare, e vitamine, soprattutto la vitamina C e il beta-carotene, precursore della vitamina A. Il suo caratteristico aroma, che ricorda il finocchio selvatico ma anche il limone, è dato dalla presenza di numerosi olii essenziali dalle proprietà officinali, tra cui il timolo e il terpinene. Essendo una specie aromatica, svolge azione stomachica e digestiva, favorisce cioè i movimenti gastrici e una migliore digestione, inoltre migliora la funzionalità biliare (azione coleretica) ed epatica. Stimola l’appetito in caso di inappetenza o stati di debolezza, impedisce e/o attenua le fermentazioni, e quindi evita la formazione di gas intestinali. È un ottimo diuretico, salutare nei casi di ritenzione idrica, edemi, diminuzione della diuresi e disturbi renali in generale. Grazie all’alto contenuto di vitamina C combatte il rachitismo infantile e lo scorbuto. Proprio per questo motivo nei secoli passati era specie consumata dai marinai, che ne facevano buona scorta portando con sé in viaggio le foglioline conservate in salamoia. Facilita il flusso mestruale ed attenua le mestruazioni dolorose, inoltre si è rivelato essere un efficace vermifugo.
CURIOSITÀ E NOTIZIE STORICHE
Il finocchio marino è chiamato popolarmente “erba di San Pietro”, per via del suo habitat presso la riva del mare. San Pietro infatti è protettore dei marinai e dei naviganti. Inoltre in epoche passate gli equipaggi delle navi facevano provvista di questa specie, per avere a disposizione la preziosa vitamina C. Il nome greco è “kρίταμο” (krítamo) e questo ha dato luogo alla denominazione scientifica, dal greco “κρῑθή” (krithé), “orzo”, per la somiglianza del suo frutto a un chicco d’orzo. Il termine dialettale ligure “bacicci” potrebbe essere una distorsione della denominazione usata da Plinio, “batis”. Baticula, bacicchia e bacciglia sono denominazioni della specie usate in epoca tardo romana e medievale. Dioscoride nel suo “De Materia Medica” (“Sulle erbe mediche”), risalente al I secolo d.C., è il primo autore a noi noto a citare il finocchio marino con il nome di “crithmum”. Il medico e botanico di origine greca ci informa che “i semi e le foglie, cotte con vino e bevute, sono utilizzate per la ritenzione urinaria, l’itterizia e provocano il mestruo”. Anche Plinio il Vecchio ne parla nella sua “Naturalis Historia”, e ci racconta che quest’erba era molto stimata da Ippocrate, veniva usata per curare la gotta e l’insufficienza urinaria, grazie alle sue proprietà diuretiche e drenanti, e si poteva mangiare cruda o cotta con il cavolo, oltre che conservata in salamoia. Aggiunge che il suo sapore è aromatico e gradevole. Secondo entrambi, poi, il suo impiego sarebbe stato utile in caso di morso di serpente. Il finocchio marino, che colonizza i litorali marini fino alle coste britanniche, viene anche citato nel “Re Lear” di Shakespeare: “A metà strada cade colui che raccoglie l’erba di San Pietro, lavoro terribile!”. I raccoglitori d’oltre Manica evidentemente erano disposti a sfidare i pericoli dell’arrampicata sulle falesie verticali a picco sul mare, pur di fare abbondanti raccolte di questa specie. Le foglie venivano poi commercializzate in botti di acqua di mare, portate frequentemente a bordo delle navi inglesi. Durante l’Ottocento in alcune zone costiere britanniche vennero applicate pesanti imposte sulla raccolta del finocchio marino, che andava gravemente rarefacendosi in alcuni territori costieri a causa di raccolte indiscriminate. Il finocchio marino era molto apprezzato nella ricca ed elaborata cucina di fine Cinquecento, in insalate, vellutate, risotti, zuppe, torte rustiche, sformati, salse piccanti.
UTILIZZI IN CUCINA
Ottime da usare crude in insalate o antipasti, le foglie del finocchio marino si prestano a numerose preparazioni culinarie, grazie al loro aroma speciale ed unico ed alla loro deliziosa carnosità. Se ne possono cucinare zuppe, vellutate o minestre, risotti, frittate, sformati e torte salate. Tradizionalmente le foglioline vengono conservate in salamoia, sott’aceto o sott’olio, per accompagnare piatti di riso, pesce o uova, ed ogni Regione ha il suo tipico metodo di conservazione. Per il loro gradevole sapore, a metà tra l’anice e il limone, con un sentore di sedano e una nota piacevolmente salata, le foglie del finocchio marino si prestano in particolar modo ad accompagnare piatti a base di pesce. Si raccolgono durante il periodo di fioritura, da maggio a settembre, quando sono più aromatiche, per essere conservate, mentre per l’impiego a crudo o in altre ricette si preferirà la restante parte dell’anno, da ottobre ad aprile, in quanto non dovremmo percepire troppo la nota amarognola. Nel Savonese non è specie protetta, ma altrove l’uso massiccio di questa pianta ne ha provocato la rarefazione, per cui alcuni regolamenti locali ne proibiscono la raccolta. Far quindi sempre riferimento ai propri regolamenti regionali e locali sarà buona norma per affrontare con serenità e in buona coscienza la raccolta del finocchio marino.
LA RICETTA
Foglioline di finocchio marino sott’olio
Ingredienti:
Aceto e vino in parti uguali, una buona raccolta di foglioline di finocchio marino, alloro, timo, chiodi di garofano, aglio, origano, olio extra vergine di oliva, una presa di sale.
Procedimento:
Raccogliere le foglioline più belle e possibilmente più tenere del finocchio marino, ripulite da tutte le parti ammalorate. Il periodo ideale per la raccolta ad uso conserva è quello che coincide con la fioritura, per cui da maggio a settembre, quando la pianta è più aromatica. Lavare molto bene le foglioline, per allontanare qualsiasi residuo di sabbia, e se troppo grandi ridurle a pezzi. Porre le foglioline in una ciotola piena d’acqua per una notte intera, in modo da eliminare il sapore amaro. Preparare il liquido di cottura con aceto e vino in parti uguali, cui siano aggiunti tre chiodi di garofano, qualche foglia d’alloro, qualche rametto di timo e una presa di sale. Porre sul fuoco e quando giunge a bollore tuffare le nostre foglioline. Far lessare per 4 minuti, quindi scolare e porre le foglioline su un canovaccio ad asciugare bene. Dovranno restare in posa almeno alcune ore, meglio se una mezza giornata. Preparate i vasetti di vetro ed inserite le foglioline, aggiungendo ogni tanto una fettina di spicchio d’aglio e una spolverata di origano. Aggiungere olio in modo da coprire bene, rabboccando nel caso in cui dovesse scendere di livello.
Conservare al riparo dalla luce in luogo fresco e asciutto. Sarà pronto per il consumo dopo un mese circa. Ne potremo guarnire piatti di riso, pesce, uova, farcire panini o gustare come sfizioso antipasto.
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